Spaccatura tra gli eredi di Gino Bartali per l'eredità

I cimeli di Gino Bartali restano al loro posto: ovvero, al museo del ciclismo “Gino Bartali”. Potrà sembrare normale, e invece c’è voluta una sentenza del tribunale civile di Firenze, arrivata dopo una diatriba che ha spaccato in due la famiglia degli eredi di Ginaccio e non ha certo onorato la memoria del campione toscano.
La 95enne vedova Adriana Bani e il figlio maggiore Andrea rivendicavano da anni la titolarità dei cimeli sportivi del ciclista. Modesti nel numero, preziosissimi nel valore, questi oggetti si trovano – e rimarranno, almeno per ora – al museo di Ponte a Ema, dove Bartali è nato: maglie, trofei, medaglie e coppe. Come quella d’argento donata a Bartali da Desgrange, patron del Tour de France.
E poi le biciclette appartenute al grande campione toscano, fra cui quella da strada con cui corse il Giro di Francia del 1949 e quella d’oro realizzata a mano “dall’incisore ed orafo Rovini”; come recita il testamento olografo che il giudice ha inserito nelle motivazioni della sentenza.
Secondo il tribunale, infatti, Gino Bartali aveva donato alcuni cimeli al suo amico Andrea Bresci, oggi presidente dell’associazione che gestisce il museo, la cui creazione rispetta, secondo il giudice, la volontà del campione scomparso nel 2000. Gli oggetti potranno restare esposti al museo, precisa la sentenza, a patto che venga dato un assetto gestionale definitivo alla struttura (che appartiene per il 66% al Comune di Firenze e per il 33% al Comune di Bagno a Ripoli e alla Provincia di Firenze). Nel corso degli anni la collezione si è arricchita di altri cimeli, e tutti gli eredi del ciclista hanno man mano aderito all’associazione. Dopo qualche anno, però, la vedova Adriana e il figlio Andrea l’hanno abbandonata in dissenso, e hanno intentato più di una causa contro la stessa e quindi contro parte della famiglia. È infatti ancora in corso la causa civile per la quale la vedova Bartali chiede all’associazione e a tre sponsor un risarcimento di 2.400.000 euro per indebito sfruttamento, a partire dal 2005, del nome e dell’immagine del marito.
Una storia amara, che neanche il decano dei ciclisti italiani, il toscano Alfredo Martini, si è sentito di commentare. “Queste diatribe sono vicende alle quali non voglio nemmeno pensare. Preferisco pensare ai mondiali di ciclismo che investiranno la Toscana con una corsa bellissima e tanta vera pubblicità a questo sport bellissimo”.
Andrea Re
Iscriviti alla newsletter