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Finanza

Evoluzione del processo di reporting aziendale

Prosegue il ciclo di interventi di Andrea Gasperini, responsabile del gruppo di lavoro “Mission Intangibles®” dell’Associazione Italiana degli Analisti e Consulenti Finanziari (AIAF).

 

Sono trascorsi oltre 500 anni da quando il monaco francescano Luca Pacioli nell’anno 1494 nella sua opera “Summa de Arithmetica, Geometria, Proportioni et Proportionalita” espresse le sue riflessioni, denominate metodo veneziano, sulle rilevazioni contabili in partita doppia che costituiscono ancora oggi la base dei tradizionali bilanci aziendali.

 

Chiediamo ad Andrea Gasperini (AIAF) come si sono evolute le rilevazioni contabili nei secoli.
 

“Dai tempi di Luca Pacioli le modalità di rilevazione degli eventi economici e finanziari sono state regolate da un sistema sempre più evoluto di linee guida, suggerimenti, standard, leggi, regolamenti e codici. Questi hanno comportato un aumento delle informazioni e la richiesta di predisporre report in cui vengono descritti, ad esempio, anche i processi di corporate governance e le politiche retributive del management e, negli ultimi anni, sempre più aziende hanno iniziato a realizzare un Report di Sostenibilità e altre, tra le quali, Unicredit, Banca Etica, Assicurazioni Generali, Pirelli, Atlantia, Eni e Sabaf stanno scegliendo ora la via sicuramente più sfidante, ma ricca di benefici nel lungo termine, dell’elaborazione del Bilancio Integrato”.

 

Non basta più il tradizionale bilancio d’esercizio?

 

“Sorprende che il tradizionale bilancio di esercizio non sia spesso in grado di fornire un quadro sufficientemente chiaro sulla capacità delle aziende di gestire nel tempo in modo sostenibile la creazione del valore e la stabilità economica, in quanto rappresenta, in larga misura, la fotografia di decisioni prese in esercizi precedenti.

I bilanci annuali sono spesso troppo lunghi, molte delle informazioni fornite non sono connesse fra di loro, permangono elevati limiti nella comunicazione e gli stessi investitori, gli istituti di credito e più in generale gli stakeholder ritengono che ampia parte delle informazioni che vengono fornite non siano adeguate per agevolare il loro processo decisionale.

Si avverte, inoltre, la tendenza che nuove forme di Report si stanno rapidamente evolvendo separatamente per la comunicazione di informazioni aggiuntive rispetto a quelle presenti negli attuali bilanci di esercizio, anziché essere integrate rendono di fatto complessa la comparabilità tra strategie e rischi, performance finanziarie e non finanziarie proprie e di tutti coloro che operano all’interno della medesima catena del valore”.

 

Ma in pratica tutto questo non rischia di complicare la vita?

 

“Forte è l’esigenza di semplificazione ed integrazione ed è naturale ed inevitabile che si scateni una più o meno animata corsa alla ricerca di soluzioni pratiche, cioè alla elaborazione di uno strumento di reporting capace di dare una risposta accettabile all’esigenza avvertita.

Sembra tuttavia incredibile che molte aziende, soprattutto se quotate in borsa, non riescano a comunicare la loro capacità di creare valore sostenibile nel medio / lungo termine.

In conseguenza della crisi sistemica, il fallimento di molti modelli di business e di inadeguati processi di governance e controllo gli alberi sono diventati sempre più spogli e non più in grado di dimostrare la capacità di crescita delle aziende. Ci si è resi conto che era necessario cambiare punto di vista. L’immagine dell’albero, che abbiamo descritto in un mio intervento precedente, deve essere necessariamente capovolta in modo da poter focalizzare l’attenzione degli stakeholder, ma in particolare quella degli investitori di lungo termine, sulle radici, le basi per la crescita e l’innovazione. Cambiando punto di vista è diventato quindi necessario definire anche un nuovo modello di reporting, capace di narrare la storia di creazione del valore rappresentando in modo più soddisfacente ed esaustivo le varie dimensioni dei risultati d’impresa, inclusa quella “intangibile”.

 

Ci sono proposte concrete per affrontare al meglio questo tema?

 

“Sia la letteratura, sia le più recenti prassi professionali, tutte accomunate dal preciso obiettivo di ampliare i confini informativi delle aziende, hanno formulato varie proposte per ricomprendere tra le radici dell’albero, oltre che le risorse intangibili, anche fattori esterni a valenza strategica quali, ad esempio, l’attenzione agli impatti dei processi, dei prodotti e dei servizi sulle risorse naturali nell’ottica della salvaguardia del patrimonio ambientale e quelli inerenti la sicurezza e salute sul lavoro, il rispetto dei diritti umani, la partecipazione alla comunità di riferimento ed i sistemi di governance.
Tutti questi fattori vengono spesso identificati con l’acronimo ESG (Environmental, Social and Governance) e rientrano nel campo della sostenibilità”.

 

In termini di priorità, come è sentito questo tema dalle aziende?

 

“Il tema della definizione di un nuovo strumento di Reporting aziendale, il quale include, oltre alle informazioni economiche, anche quelle quali-quantitative (non-finanziarie) sulla capacità da parte delle imprese di generare in modo sostenibile il valore e sui connessi rischi - intesi come gli esiti negativi che eventi incerti hanno sugli obiettivi di una organizzazione - è un argomento che negli ultimi anni sta conquistando una posizione sempre più elevata nell’agenda delle priorità di chi si occupa professionalmente di management aziendale e di analisi finanziaria, in quanto è evidentemente una problematica aperta e tuttora irrisolta alla quale, secondo molti autori, gli attuali strumenti di reporting a disposizione delle imprese non sono ancora in grado di fornire una risposta definitiva o perlomeno convincente e si avverte una situazione di confusione, disordine e di frammentazione”.

 

Paolo Brambilla