La diversificazione di portafoglio
All'inizio del 2016 Mary Callahan Erdoes, Chief Executive Officer di J.P. Morgan Asset Management, aveva dicharato: "Il 2015 è stato caratterizzato in larga misura da un’elevata volatilità, ma la decisione della Federal Reserve di alzare i tassi a dicembre ha confermato la divergenza tra i diversi contesti economici mondiali. Permane dunque la domanda di fondo: la ripresa dei consumi nei mercati sviluppati di Stati Uniti ed Europa sarà sufficiente a trainare la crescita mondiale, oppure le persistenti difficoltà delle piazze emergenti comprometteranno la salute dell’economia globale?"
In effetti, secondo la Private Bank di J. P. Morgan, l’economia globale stava risentendo di una serie di acciacchi, tra i quali i più preoccupanti riguardavano i mercati emergenti, ma che negli Stati Uniti e in Europa il contagio sarebbe stato limitato, con una ripresa dei consumi grazie ad un’inflazione modesta e ai bassi prezzi delle materie prime, oltre agli interventi delle banche centrali e all’allentamento delle misure di austerità fiscale.
"Tuttavia, considerate le valutazioni azionarie superiori alla media, il rallentamento delle dinamiche di espansione degli utili aziendali e la stagnazione della produttività, è probabile che nei prossimi dodici mesi i portafogli diversificati mettano a segno rendimenti contenuti" affermavano a gennaio. Così è stato in questi primi quattro mesi del 2016, e così dovrebbe proprio essere nel resto dell'anno.
La diversificazione di un portafoglio di titoli consiste in una riduzione della rischiosità del suo rendimento, legata alla presenza di più attività finanziarie non perfettamente correlate, ad esempio inserendo titoli con scadenza diversa che consentono di frazionare il rischio complessivo, il che consente di prevedere con maggiore precisione l'esito dell'investimento e ridurne il rischio mantenendo il rendimento.
Importante comunque è tener conto della cosiddetta "frontiera dei portafogli", termine con il quale si intende un insieme di portafogli che soddisfano un criterio di razionalità nelle scelte di investimento, normalmente caratterizzato dalla minima varianza ammissibile per un dato livello di rendimento atteso. L'approccio lagrangiano, basato sull'ovvia ipotesi che gli operatori finanziari a parità di condizioni preferiscano un rendimento atteso maggiore e una varianza del rendimento minore (rapporto media-varianza) ricalca quello originariamente indicato da Harry Markowitz nel 1952.
Il Capital Asset Pricing Model (CAPM) è un modello di equilibrio dei mercati finanziari proposto da William Sharpe nel 1964, e indipendentemente sviluppato da Lintner e Mossin negli anni successivi. Il CAPM stabilisce una relazione tra il rendimento di un titolo e la sua rischiosità, misurata tramite un unico fattore di rischio, detto beta. Il beta misura quanto il valore del titolo si muova in sintonia col mercato. Il CAPM fruttò a Sharpe, insieme a Miller e Markowitz, il Premio Nobel per l'economia nel 1990.
Il CAPM si presta a una lettura euristica, e a questo è dovuta la sua popolarità tra i privati investitori.
In pratica la valutazione di uno strumento finanziario è corretta se il prezzo attribuito dal mercato è uguale a quello determinato tramite il CAPM. Se il prezzo di mercato è più alto o più basso lo strumento è sovrapprezzato o sottoprezzato. Comunque il CAPM non è l’unico metodo esistente per calcolare il fair value di uno strumento finanziario.
Ricordiamo che il rischio di un portafoglio è costituito da una componente sistematica e una specifica. Il rischio sistematico, nella prospettiva del CAPM, è riferito al rischio comune a tutte le attività finanziarie, cioè il rischio di mercato. Il rischio specifico è quello delle singole attività finanziarie; può essere ridotto tramite la diversificazione, ossia compensando la rischiosità tipica di uno strumento con quella di un altro strumento che si muova con andamento opposto. Non si può dire lo stesso del rischio sistematico.
Il CAPM è stato sviluppato a partire dalla teoria della frontiera dei portafogli, accennata prima. L’ipotesi di partenza è che tutti gli operatori di mercato cerchino di massimizzare la Sharpe ratio del loro portafoglio e logicamente questo vale anche per portafogli posizionati sulla frontiera efficiente. Per un dato dato livello del tasso d'interesse privo di rischio, esiste soltanto un portafoglio ottimale detto portafoglio di mercato.
Paolo Brambilla