Finanza
Riforma pensioni, l'accordo slitta a settembre
Il tavolo tra Governo e sindacati non ha portato a un preciso impegno sulle misure da attuare, ma il Ministro del Lavoro Giuliano Poletti dichiara: "Ci saranno rilevanti risorse sul capitolo previdenza nella legge di stabilità". In sostanza le misure sono rimandate a metà settembre quando saranno più chiari i vincoli e, quindi, le risorse.
C’è un accordo di massima: a partire dall’Ape, acronimo che sta per “anticipo pensionistico”, la flessibilità in uscita per gli ultra 63enni nella forma del prestito pensionistico da restituire con rate ventennali. Un altro strumento è la Rita, la “rendita integrativa” temporanea sulla pensione integrativa. Di questa non si sanno ancora le caratteristiche, ma dovrebbe essere a costo zero per i lavoratori in difficoltà e leggermente onerosa per altre tipologie di lavoratori. Inoltre pare che l'accordo governo-sindacati preveda modifiche per i lavori usuranti con un ampliamento della platea, un bonus contributivo per i lavoratori precoci per chi ha lavorato nella minore età e il cumulo gratuito dei periodi assicurativi.
Altri interventi sembrerebbero meno probabili, o almeno da differire, visto che le risorse sono scarse, ma la dichiarazione di Poletti sulle “risorse rilevanti” fa ben sperare: integrazione della quattordicesima mensilità per i pensionati con redditi sino a 750 euro al mese, oppure ampliamento della platea dei beneficiari sino a ricomprendere gli assegni sino a 1.250 euro al mese. Si parla anche di rilancio della previdenza complementare, revisione delle aliquote contributive per gli iscritti alla gestione separata, riconoscimento del lavoro di cura familiare, estensione dell'opzione donna e dall'ottava salvaguardia.
Però a nostro parere il tema “riforma delle pensioni” andrebbe affrontato con maggiore respiro.
Chiediamo alla Presidente dell’Assemblea Metropolitana del PD a Milano, Alessia Potecchi, che cosa ne pensa.
“Partirei da una domanda: esiste oggi una “lotta di classi”, un conflitto generazionale tra giovani e vecchi? Oggi siamo in presenza di nuovi lavori legati al mondo cybernetico e questo rende molto complicata la definizione contrattuale dei lavoratori che a queste attività molto atipiche rispetto alle nostre categorie di riferimento si dedicano quindi a questi lavoratori o si offre un contratto oppure un contesto.
Bisogna però prestare molta attenzione perché il contesto va comunque riempito di contenuti altrimenti si rischia di avere un contenitore vuoto e questo non deve favorire l’eliminazione delle difese contrattuali. Norberto Bobbio ci ha insegnato, la vita di una comunità è basata sui contratti e all’interno del mondo del lavoro, come di qualsiasi mondo, laddove viene a mancare una regolamentazione di questo tipo si viene sempre a determinare una condizione sproporzionata nelle relazioni tra gli individui. Il rischio è che eliminando contratto si crei una situazione simile a quella della giungla dove il più forte sopravvive e il più debole soccombe”.
Va bene, ma che ruolo hanno le pensioni in questo contesto?
“Non possiamo immaginare una vita che abbia come obiettivo la pensione. Ma non possiamo nemmeno immaginare una vita che abbia come obiettivo la miseria nel momento in cui le persone, indebolite dall’età, diventano sempre più indifese nei confronti di una società profondamente diseguale. A tale proposito va sottolineato che in Italia nel 1950 i neonati erano il doppio rispetto a oggi e gli ultraottantenni appena un quinto: questo induce a pensare che la vecchiaia sia una sorta di “malattia endemica” per cui i paesi in via di sviluppo invecchieranno molto prima di diventare ricchi. Un mondo che si sta modificando profondamente e rapidamente.
In questo scenario ci sono delle responsabilità del mondo politico che spesso ha manomesso il sistema pensionistico pensando ai benefici immediati, a fare cassa, avvilendo e colpevolizzando quelle persone, i pensionati, che poi nel tempo della crisi hanno colmato i “buchi” creati dalla società politica nel sistema di welfare sulla base di scelte ideologiche o affaristiche. Un interventismo esasperato e disordinato motivato con la necessità di assicurare “il futuro” ai giovani mentre, in realtà, glielo ipotecavano”.
Che cosa è cambiato negli ultimi decenni?
“Nella vecchia società si accettava un lavoro anche poco gratificante nella certezza che ad un certo punto sarebbe intervenuta la pensione che ci avrebbe aperto la porta ad una altra dimensione di vita. Un percorso questo non più praticabile ora. Bisogna però anche in questo caso prestare attenzione, perché se in determinati settori del mondo del lavoro (soprattutto nel pubblico impiego) il pensionamento anticipato è stata una scelta finalizzata ad una migliore qualità della vita futura, in altri settori la scelta è stata imposta, obbligata, appunto da quei processi di ristrutturazione che nulla avevano a che fare con situazioni di crisi ma solo con la necessità di comprimere il costo complessivo del lavoro. Insomma, il pensionamento è stato utilizzato come ammortizzatore sociale, indipendentemente dalla volontà di chi al lavoro ci sarebbe rimasto volentieri anche perché andando via prima ci rimetteva economicamente”.
Quali potrebbero essere i prossimi passi, visto che si sta parlando di riforma delle pensioni proprio in questi giorni?
“Il problema sta nel riorganizzare “la società del lavoro” nel suo complesso. Lo sforzo andrebbe fatto uscendo dalla gestione contingente della materia pensionistica e inserendola nella prospettiva più ampia della vita lavorativa in tutte le sue fasi (formazione, attività, riposo).
Il governo, a mio parere, sta facendo un lavoro positivo in questa direzione, auspico che il confronto con i sindacati riprenda su questo terreno e su queste tematiche, da parte del sindacato di converso, mi aspetto meno critiche e più proposte, passare da una fase solo difensiva ad una fase propositiva che mi pare sia mancata in questi anni” conclude Alessia Potecchi.
Paolo Brambilla