In Italia si ferma solo un migrante su tre. I dati sull'emergenza immigrazione - Affaritaliani.it

Affari Europei

In Italia si ferma solo un migrante su tre. I dati sull'emergenza immigrazione

Si discute molto di emergenza sbarchi in Italia, di stazioni ferroviarie sovraffollate, dei blocchi  delle frontiere di Ventimiglia e del Brennero. Ci rappresentiamo come un paese sotto assedio, allo stremo delle forze. Vorrei cercare in questo contributo di riportare la questione alle sue vere dimensioni.

Scrivo da Tunisi, dove ho ascoltato le voci di chi lavora nell’accoglienza dei profughi in paesi come il Libano e la Giordania. Occorre allargare lo sguardo per comprendere chi accoglie per davvero i richiedenti asilo. Ecco qualche cifra: secondo i dati forniti dall’Onu, l’86% dei rifugiati trova asilo in paesi del cosiddetto Terzo Mondo. L’Europa ne accoglie circa il 10%, in calo rispetto a una decina di anni fa, quando la quota a carico del Terzo Mondo si aggirava intorno al 70%. Libano (1.100.000 a metà del 2014, ora le stime vanno da 1,5 a 2 milioni), Turchia (circa 800.000), e Giordania (650.000) da soli accolgono più rifugiati dei 28 paesi dell’Unione Europea messi insieme (626.000). In Libano sono ormai circa il 30% della popolazione, in Giordania circa il 20%. Quanto ai costi, la Giordania per esempio spende 2,9 miliardi di dollari del proprio bilancio, e solo il 19% le viene restituito dagli aiuti internazionali.

Un’altra questione da discutere riguarda l’equivalenza tra sbarchi, prima accoglienza, e integrazione sul territorio. Affermare, per esempio, che in 18 mesi sono arrivate in Italia dal mare 220.000 persone è dire il vero, ma bisogna aggiungere: solo una minoranza chiede asilo nel nostro paese, la maggioranza cerca di proseguire il viaggio al di là delle Alpi. Nel 2014, su 170.000 sbarcati, soltanto 68.000 hanno chiesto protezione in Italia. Siriani ed eritrei non rimangono quasi mai. Tra quelli che presentano richiesta (mediamente, i meno organizzati), negli ultimi anni circa la metà ha ricevuto una qualche forma di protezione.

Per contro, la Germania ha ricevuto circa 200.000 domande. Le autorità italiane favoriscono i passaggi non applicando con eccessivo zelo gli obblighi d’identificazione. Dovrebbero anche provvedere un minimo di accoglienza per i pochi giorni necessari a riprendersi e a ripartire. Magari in forme leggere, coinvolgendo anche famiglie e associazioni. A Milano su 60.000 persone transitate in due anni, hanno chiesto asilo in poche centinaia.

Ora i nostri vicini cercano di fermare i transiti, ma hanno bloccato in realtà qualche centinaia di persone, con esibizioni muscolari finalizzate a loro volta a rassicurare i propri cittadini-elettori. I dati che ho ricordato dicono che le dimensioni dei flussi verso Nord sono ben altre. Diverse sentenze dei tribunali del Nord Europa, tra cui una dell’Alta Corte di Strasburgo, stanno formando una giurisprudenza che impedisce di rimandare in Italia i rifugiati, anche se i giudizi rappresentano una censura per il nostro paese:  non garantisce una protezione adeguata a tutti i rifugiati riconosciuti.

Per quanto riguarda le possibili soluzioni, le quote hanno il pregio di aprire una breccia nel muro di Dublino e di compiere un passo avanti verso l’europeizzazione della questione. Ma a parte le liti e i rifiuti che hanno provocato, mostrano un più grave difetto: negano le aspirazioni, la libertà, in ultima analisi la dignità delle persone accolte. A quei rifugiati che hanno dei legami, che conoscono la lingua, è ingiusto, e quasi sempre anche vano, impedire di potersi costruire un futuro migliore in un paese diverso da quello a cui sono stati assegnati. Si dovrebbero attribuire i costi al bilancio comunitario, trasformandoli in aiuti per i paesi che accolgono.

Il bombardamento delle barche appare invece un tentativo di spostamento del problema: giacché non si può dire apertamente che non si vogliono accogliere i rifugiati, si criminalizzano i trasportatori, che, a loro volta, per diminuire i rischi di essere catturati espongono i profughi a maggiori pericoli. Se si volesse davvero impedire questo traffico illegale di profughi che inoltre produce notevole profitto, basterebbe istituire dei regolari traghetti.

Quanto all’allestimento di campi di raccolta in Nordafrica, sembra di assistere a uno scaricabarile: i paesi del Nord Europa verso quelli del Sud, quelli del Sud verso la sponda opposta del Mediterraneo. Va, infatti,  registrato che i paesi che dovrebbero accogliere i campi non hanno leggi adeguate a protezione dei rifugiati e dei migranti. Politiche di standard europeo nei campi, in termini per esempio di servizi sanitari o di scuole dell’infanzia, rischierebbero di provocare il risentimento della popolazione locale che non ha accesso a servizi analoghi. Misure di reinsediamento potrebbero invece servire ad alleggerire il sovraccarico di Libano e Giordania.

In Italia lo scaricabarile riguarda invece le regioni. È il Sud a sopportare il carico maggiore, anche perché ospita strutture discusse come il mega-centro di Mineo, il più grande d’Europa con i suoi 4.000 posti. Il contrario dell’integrazione nelle comunità locali. Per decongestionarle, bisognerebbe aumentare i posti al Nord, ma le regioni che accolgono meno rifugiati sono anche le più restie a ospitarne altri: la Lombardia accoglie 0,06 profughi ogni 100 abitanti, il Veneto 0,05, contro gli 0,27 della Sicilia. Sono le ultime in graduatoria dopo la Val d’Aosta.

Concludendo, un punto dovrebbe essere chiaro: è giusto cercare di coinvolgere maggiormente i partner europei, ma non si può essere un paese democratico e rifiutarsi di onorare gli obblighi di protezione dei perseguitati che la nostra Costituzione ha sancito (art. 10) e i trattati internazionali hanno ribadito.

Di Maurizio Ambrosini (professore di Sociologia delle migrazioni, Facoltà di Scienze politiche, Università degli Studi di Milano) per l'Ispi.