Inopportuno mettere in piazza la propria malattia

Il dolore e la morte dovrebbero rimanere in un ambito intimissimo

Di Ernesto Vergani
Al Bano, nato il 20 maggio 1943
Lo sguardo libero

La deriva di una società disperata e sentimentale

Un indicatore della società disperata e sentimentale attuale - cui per fortuna, seppur minoranza, si sottrae una parte, rappresentata soprattutto dai giovani. Sono sempre più i personaggi pubblici che trovano risalto mediatico, non per qualche fatto degno di merito, dal libro all’opera artistica in genere, ma divulgando una propria malattia. Ci si ricordi dello stillicidio degli "Anch’io ho preso il Covid” durante la pandemia.

Si tralasci la curiosità, sia a livello di intelligenza che di intelletto, di chi è interessato al raffreddore di un influencer. Naturalmente che la star televisiva o di Internet renda pubblica la propria malattia è una libera e legittima decisione, fatta magari anche per ottenere visibilità – il difficile del successo consiste, tanto nel conseguirlo, quanto nel farlo durare –; tuttavia, tutto ciò stride con la sacralità, per così dire laica e democratica dell’individuo, il cui dolore, per non dire la cui morte, dovrebbero rimanere in un ambito intimissimo, al massimo allargato ai propri cari. Il che vale anche per un artista, ma non si consideri l’idea di arte (e di artista) diffusa oggi e propagata online e in tv… esattamente l’opposto di ciò che è: “Non possiamo chiamare arte alcunché non sia razionale”, fa dire Platone a Socrate.  

Diverso è il discorso di un personaggio pubblico che nel raccontare complessivamente la propria storia può ricordare i propri matrimoni/divorzi o la scomparsa di un proprio caro come passaggi decisivi della sua vita. Per esempio, come fa Al Bano (nato il 20 maggio 1943) nelle interviste rilasciate in occasione del vicino compimento degli 80 anni.

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