Tim, Vivendi punta su Luciano Carta per il cda: ecco perché e che cosa succede

L'ex presidente di Leonardo dovrebbe succedere a De Puyfontaine nel board dell'ex-Telecom. La strategia dei francesi

Luciano Carta, Arnaud de Puyfontaine, Pietro Labriola
Economia

Vivendi proporrà Luciano Carta per il board di Tim


 

Luciano Carta è il nome che Vivendi ha deciso di proporre al consiglio di amministrazione di Tim per sostituire il dimissionario Arnaud De Puyfontaine. Non si tratta di un personaggio “banale”, ma del presidente uscente di Leonardo, appena sostituito da Stefano Pontecorvo. Carta, infatti, è stato in precedenza a capo dell’Aise, l’Agenzia informazioni e sicurezza esterna, i servizi segreti che hanno preso il posto del Sismi nel 2007.

Che cosa c’entra un ex generale della Guardia di Finanza nel consiglio di amministrazione di Tim? Dalla holding francese arriva un laconico “no comment”. La domanda si presta a molte interpretazioni: prima di tutto, dopo l’uscita di De Puyfontaine Vivendi, che pure è il primo azionista di Tim, aveva dichiarato di non voler avere poltrone nel board per avere le mani più libere. Ora, però, si torna indietro. Cambio di strategia?
 

Carta gode della fiducia dei mercati e delle istituzioni, che potrebbe fare gli interessi dell’azienda. Il suo passato in Leonardo, quando si creò qualche tensione con l’amministratore delegato Alessandro Profumo, non fa paura. Un uomo forte e di polso è quello che serve al board e a Vivendi in particolare. Che aveva dichiarato di voler uscire dalla stanza dei bottoni ma che ora sente che l’aria è cambiata. 

D’altronde, la partita della rete non sta procedendo come ci si attendeva. Nei giorni scorsi è circolata la voce che Cdp potrebbe sfilarsi dalla corsa all’acquisizione della rete, spaventata dalla richiesta di revisione al rialzo dell’offerta (19 miliardi più due di earn-out) presentata nelle scorse settimane. Di più: sembra che Macquarie, che già divide con Cassa Depositi e Prestiti la partecipazione in Open Fiber (oltre che in Aspi, ma questa è un’altra storia), non sia entusiasta all’idea di un ulteriore rilancio. In rete sono circolate anche versioni che sostengono che Kkr sia stata “benedetta” dalle istituzioni e che, di conseguenza, sarebbe ormai l’unica in lizza per rilevare la rete.

Fonti accreditate riferiscono ad Affaritaliani.it che in realtà nulla è ancora deciso: entro il 9 giugno bisognerà trovare offerte più “ricche” di quelle fin qui pervenute. Gli americani di Kkr possono alzare la posta, Cdp potrebbe fare lo stesso, seppur tra molte remore. Ma rimane il tema della distanza siderale rispetto alle richieste di Vivendi in primis, che valuta la rete intorno ai 31 miliardi di euro. Da lì può partire una trattativa, certo, ma è difficile pensare che i francesi possano scendere sotto i 27. Invece gli americani potrebbero rilanciare, sì, ma in misura assai minore. 

E i francesi non ci sentono da quest’orecchio. Vogliono per i soci una situazione che remuneri l’investimento. Senza contare il tema della ragione sociale dell’azienda. Se si vendesse la rete, Tim dovrebbe cambiare ovviamente la sua definizione. Ma qui c’è un cavillo legale: tramite assemblea ordinaria o straordinaria? Non si tratta di questioni di lana caprina, ma di tematiche decisive per il futuro dell’azienda. 

Inoltre c’è un altro tema da analizzare: il consiglio di amministrazione dovrà decidere se le offerte che arriveranno sul tavolo entro il 9 giugno saranno congrue – e in quel caso verranno mandate in assemblea – o se invece saranno da bocciare. Ancora: circola insistentemente voce che in assenza della cessione della rete potrebbe rendersi necessario un aumento di capitale. È così? Non ci sono voci unanimi in tal senso. 

E poi rimane sempre il take private: si tratta dell'acquisto delle azioni di una società quotata in Borsa da parte di un fondo di private equity o da una pluralità di soggetti. “Servirebbe – racconta ad Affari una fonte ad altissimi livelli – che il governo si dimostri disponibile ad avallare soluzioni differenti da quella della vendita della rete”. 

Infine c’è da discutere e comprendere la posizione dell’ad di Tim Pietro Labriola. Fonti accreditate riferiscono che i francesi di Vivendi non hanno preclusioni sul manager pugliese, ma vogliono essere ascoltati in quanto soci con la maggioranza relativa delle aziende. Ambienti vicini ai francesi sostengono che l’innamoramento di Labriola per la vendita della rete, anche abbassando di molto le richieste, non sia esattamente ben visto da Vivendi. Che si aspetta da Labriola una visione manageriale, soluzioni, individuazione dei costi da abbattere. 

Solo che i costi sono rimasti pochi, la riduzione del debito procede ma non può andare oltre una certa soglia, nonostante il miglioramento dei conti. E tra quest’anno e l’anno prossimo scadranno due notevoli tranche di debito che dovranno essere rinegoziate. A che condizioni? Il costo del denaro è salito e gli ultimi titoli dell’azienda garantivano un rendimento di oltre il 6%, due punti percentuali in più della media attuale. Lo stallo continua e sembra sempre più complesso. 
 

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