Il critico Iaccarino: "Giusto pagare 2 euro in più per far tagliare il toast"

Il critico gastronomico del Corriere della Sera corre in difesa degli esercenti che fanno pagare in più per semplici servizi

Di Giuseppe Vatinno
MediaTech

Il fine critico gastronomico del Corriere pro ai furbetti dello scontrino: "Giusto far pagare per tagliare in due un toast"

Ci eravamo occupati già qualche giorno fa dei cosiddetti “furbetti dello scontrino”, cioè tutti quegli esercenti che in questa pazza estate stanno facendo di tutto per farsi odiare dei clienti. Aveva esordito Massimiliano Tonelli con una perla: “Il cliente ha quasi sempre torto”. Ma di cosa si tratta? Si tratta di incredibili eventi accaduti da parte dei soliti furbetti che rovinano un’intera categoria.

A destare indignazione sono i “trucchetti” utilizzati dagli esercenti per gonfiare i prezzi. Ad esempio per due cucchiaini per assaggiare un dolce vengono caricati 1,50 euro in più, come è successo ad Alba in Piemonte. Mentre a Palermo sono stati caricati 20 euro in più per tagliare la torta di compleanno, poi c’è un’altra “moda” e cioè quella di far pagare pure l’acqua dei caffè, anche 70 centesimi con la scusa che l’acqua è filtrata. Peccato che l’avventore avesse chiesto normale acqua del rubinetto.

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Ad Albenga (Savona) invece la richiesta di cuocere la pizza al “punto giusto” è costata al malcapitato due euro. I desideri proibiti si pagano. Una osteria di Finale Ligure ha caricato un costo aggiuntivo di 2 euro per un piattino di assaggio per la pasta. Ma il capostipite di tutto, la “madre di tutte le indignazioni”, è il mitico scontrino che riporta 2 euro in più con la dizione “diviso a metà” - si trattava di un toast - rifilato a un consumatore sul lago di Como. 

Lo scontrino è divenuto subito virale e si è guadagnato un posto nella Hall of Fame della indignazione. Le difese degli esercenti sono spesso fantasiose e sono testimonianze dell’italica arte del perculamento con la tecnica del “cornuto e mazziato”. Si va dalla necessità di un generico aumento dei prezzi dovuto a calamità come il Covid, la guerra, la siccità, le cavallette, le invasioni barbariche, a forme più raffinate di giustificazione come l’energia cinetica consumata dalla mano del gestore per impugnare il coltello e segare il toast, come nel caso esilarante di Como.

Il problema è che il fenomeno, una volta reso noto, invece di diminuire aumenta, come se i proprietari ci prendessero gusto. Così abbiamo ieri il caso di un barista a sud di Latina che ha approfittato del Ferragosto per caricare di ulteriori 50 centesimi due caffè da 1.20, facendo pagare 25 centesimi l’acqua di fonte ad una straniera. Dicevamo di Tonelli, ma ora è sceso prontamente il campo, per non lasciare il passo al collega, anche Luca Iaccarino, che dal Corriere della Sera prende le difese dei furbetti. Lui è un critico gastronomico, genìa che ha sfilato il trono ai critici letterari in questi tempi matti e disperati.

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La nostra è la società dell’abbuffata, del manducamento continuo, del Culto del Piacere gastronomico. In una nazione in cui tutti si sentono CT della Nazionale di calcio figurarsi le orde di gourmet fai da te che disquisiscono di foglioline di menta con la stessa passione “erotica” con cui Carlo Rovelli lo fa di buci bianchi, neri e gialli. Dunque, dicevamo, il florido critico ci spiega che è giusto che “se due clienti smazzano un panino di 4 euro” debbano essere mazziati con costi aggiuntivi di 2 euro (il 50%!) perché il povero esercente ci deve pagare su l’aria condizionata, l’energia cinetica della sua mano che taglia il toast, l’aumento di CO2 nell’aria, il Big Bang, la guerra coloniale in Libia ed Eritrea, il cattivo allineamento Terra – Sole e chi più ne ha più ne metta.

Pure lui se la prende con i “clienti rompiscatole” e poi parte di analisi dei costi degna della scuola di Chicago di Milton Friedman: “Un bar o un ristorante non forniscono prodotti, forniscono servizi, questo è il punto. Nei quattro euro che paghiamo per la nostra amata birra gelata fronte mare, il costo della birra è pochi centesimi, tutto il suo valore, al netto dell’IVA, al profitto dell’esercente e alle relative tasse, è composto dal costo del fattorino che ha portato il fusto, da quello dell’energia che l’ha refrigerato, che ha lavato il bicchiere, l’ha asciugato, dal lavoro del cameriere che l’ha riempito e l’ha portato sul tavolino che poi ha pulito, dell’affitto et cetera”.

La cosa misteriosa di tutti questi critici, blogger, influencer è che dopo aver esordito pro consumatori sono passati tutti, armi e bagagli, dalla parte degli esercenti. Un fenomeno davvero strano che dovrebbe interrogare le Grandi Coscienze del Paese. Che nostalgia per Luigi Veronelli e le sue recensioni sui vini in una Tv ancora in bianco e nero.

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