Messi e quel mantello dell'emiro: sporcato il momento del trionfo in Qatar

Il numero 10 argentino costretto ad alzare la coppa del mondo indossando un vestito tradizionale arabo: rispetto o definitivo inchino del calcio al dio denaro?

di Lorenzo Lamperti
Sport

Qatar 2022, Messi vive il trionfo con il mantello dell'emiro sulla maglia dell'Argentina

Ci sono pochi momenti più magici per un appassionato o un giocatore di calcio di quando il capitano della nazionale che ha appena vinto la finale dei Mondiali alza la coppa. Un momento iconico, accaduto già oltre 20 volte nel corso degli ultimi 98 anni. Un momento riservato solo a grandi giocatori della storia del calcio. Da Franz Beckenbauer a Dino Zoff, da Dunga a Cafù, da Fabio Cannavaro a Didier Deschamps. Ovviamente a Diego Armando Maradona. E da domenica 18 dicembre 2022, anche a Lionel Messi.

C'è però una grande differenza tra come la coppa dorata è stata alzata da Messi e da tutti gli altri prima di lui. Il grande campione argentino, meritatissimo eroe dell'epopea calcistica dell'Albiceleste che si è guadagnata con merito il terzo titolo mondiale a distanza di 36 anni dall'ultima volta, non indossava i colori della sua nazionale. Non solo, quantomeno. Sì, perché pochi secondi prima di ricevere la coppa del mondo dalle mani di Gianni Infantino, il contestato presidente della Fifa, ha dovuto suo malgrado in parte coprirli.

L'emiro del Qatar, lo sceicco Tamim bin Hamal al-Thani, lo ha infatti vestito con il bisht, un tradizionale mantello maschile nel mondo arabo. La veste nera indossata gli è stata data come "segno d'onore" ma è davvero parsa come l'immagine del Qatar che mette il cappello, pardon il mantello, sul momento più importante della competizione. Sì, perché come chi sa chi ama il calcio come sport e non come show, i Mondiali non finiscono al fischio finale dell'ultima partita.

Il rituale della premiazione è forse anzi il momento più importante e alto non solo della competizione ma anche della carriera di un calciatore. In particolare per Messi, che arriva al trionfo più importante ormai alla fine della sua carriera, e non all'inizio come l'avversario battuto ieri Kylian Mbappé, già campione 4 anni fa con la sua Francia. Messi ha sofferto per arrivare al successo più importante, accettando critiche ingenerose e paragoni privi di particolare senso con il predecessore più ingombrante della storia del calcio, Maradona.

Immaginate che soddisfazione ieri arrivare a toccare quella coppa, chiudendo un cerchio lungo quasi 20 anni. Un momento che Messi avrebbe meritato di celebrare liberamente, esprimendo la sua gioia in maniera spontanea. E invece no, quel mantello nero è parso a molti appassionati quasi come uno "stupro". Il bisht ha coperto parte della maglietta dell'Argentina di Messi, compreso lo stemma nazionale, durante la cerimonia. 

È stato il grande momento della rivincita per l'investimento da 220 miliardi di dollari del Qatar, che mette a tacere le critiche per la mancata tutela dei diritti umani (spesso pelose) della vigilia facendo indossare al giocatore più forte del mondo e dipendente di una squadra, il Paris Saint-Germain, proprietà del qatariota Al-Khelaifi. Il tutto mentre Infantino assisteva sorridente alla posa dell'indumento. Per molti l'immagine definitiva del legame tra il calcio e la Fifa e il business.

In realtà, il gesto ha suscitato il plauso dei social media della regione come segno di rispetto, ma in tanti hanno sottolineato come la vicenda abbia ucciso la spontaneità del momento più bello di Messi, peraltro oscurando i colori della sua splendida maglia argentina. Il commentatore della BBC Gary Lineker, ex giocatore, ha detto che è "un peccato che abbiano coperto la sua maglia" durante quello che è stato "un momento magico".

E allora, pur ancora con lo splendore negli occhi per la magnifica finale tra Argentina e Francia di domenica sera, non può che venire in mente l'immagine di Maradona portato in trionfo da compagni e gente comune sul campo dell'Azteca di Città del Messico nel 1986. Senza mantelli o altro a coprire la sua gioia. E nemmeno a coprire la sua rabbia anti sistema, che spesso si era scatenata contro la Fifa anche dopo il ritiro da calciatore e negli ultimi anni prima della sua morte, quando aveva lanciato accuse gravissime nei confronti del "governo del calcio mondiale". 

Niente paragoni, niente elegia di un campione immenso già finito in tanti manuali di retorica. Resta solo gratitudine per la grandezza della carriera di Messi. Ma l'immagine di Lionel con la coppa, la sua coppa tanto cercata, non sarà probabilmente ricordata tra quelle più belle della sua carriera. Non tra quelle più pure, così come puro è sempre stato il suo talento. Segno dei tempi che cambiano, evidentemente. E con loro cambia un calcio che prova sempre più a forzare la sua magia e a renderla spettacolo e business. Sperando che almeno quei magici 90, anzi ieri 120 minuti più i rigori, vengano preservati.

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