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L'avvocato del cuore
Coronavirus, “Mio figlio dipendente dai device”. I consigli dell'avvocato

“Caro Avvocato, da quando siamo in quarantena noto un uso eccessivo dello smartphone e dei videogiochi da parte di mio figlio undicenne. Ho paura che possa sviluppare una dipendenza non più controllabile. Quali sono i rischi e cosa posso fare?” Ciascuno di noi, anche i meno giovani, in questi giorni (divenuti ormai mesi) di isolamento, ha visto accrescere, più o meno consapevolmente, le ore trascorse online, sia dal proprio smartphone che da qualsiasi altro device.

Assodato che lo smartworking e le lezioni online hanno inciso in maniera esponenziale su questo incremento, tuttavia, un “rilassamento eccessivo” nei confronti della rete e del digitale, al di là dell’uso connesso a esigenze lavorative, d’informazione e d’istruzione (per i più giovani), nasconde le solite insidie, nelle quali, al tempo del Covid e delle connesse misure restrittive, è più facile imbattersi. La dipendenza da internet non è certo un fenomeno nato con la pandemia, ma è con essa che può diffondersi agevolmente. I soggetti più vulnerabili sono ovviamente i giovani, i “nativi digitali”, spesso vittime indifese.

Attualmente, in molte famiglie italiane si sta consumando ciò che in un contesto di normalità sarebbe paradossale: genitori che, pur di scongiurare il rischio che il proprio figlio raggiunga la casa dell’amico (triste realtà, ahimè!), soprassiedono sull’uso prolungato del cellulare, scegliendo quest’ultima via come male minore. In altri casi, invece, le lezioni online costituiscono una valida scusa sempre pronta quando mamma e papà minacciano di sequestrare l’apparecchio. In generale è aumentata quindi la dipendenza tecnologica. Le conseguenze sono spesso imprevedibili.

Gli psicologi denunciano l’aumento dei casi di problemi del sonno, nausea e disturbi alimentari. Il rischio è che si espanda la schiera di minori affetti da vero e proprio “internet addiction disorder” (IAD), che si manifesta nel rifiuto delle relazioni emotive, fino a sfociare in quella che in Giappone è nota come “Hikikomori”, termine che identifica l’estremo isolamento e confinamento di un giovane. Passando per stati di irritazione, anche violenta, bulimia e, ancora, ludopatica dipendenza dai giochi. A proposito di questi, si va dai videogiochi violenti fino al gioco d’azzardo online.

È davvero troppo semplice per gli adolescenti aggirare le norme e impossessarsi dei dati anagrafici e bancari dei propri genitori per procedere all’iscrizione sulle piattaforme di scommesse e di casinò online. I più piccoli, invece, con i giochi scaricabili sui vari dispositivi che si trovano disseminati in casa, vengono inconsapevolmente educati, sia pur gratuitamente, all’azzardo: infatti, molto spesso si sottovaluta il rischio legato alle “microtransazioni” nei videogame (per acquistare monete virtuali utili a potenziare i propri personaggi) che possono indurre i ragazzi a una certa propensione alla spesa inconsapevole e finanche al gioco d’azzardo.

E la normativa, nonostante gli sforzi, non riesce a reggere il passo. Infatti, se è ammirevole lo sforzo messo in atto da Stato, regioni e comuni nel limitare l’accesso dei minori ai luoghi fisici di gioco, quello dell’online è un territorio, per troppi aspetti, ancora inesplorato. I numeri parlano di un aumento del consumo di gioco d’azzardo online del 115% in 5 anni. Percentuale destinata ad incrementarsi in questo periodo (secondo i dati di Avviso Pubblico, associazione di Enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie), stante la limitazione all’accesso al gioco su rete fisica, disposta al fine di contrastare la diffusione del virus. I numeri non ci dicono però quanti minori si celano dietro gli account.

Il consiglio che si può dare è sempre quello di mantenere il dialogo aperto con i propri figli, perché la buona relazione adulto-adolescente può contribuire significativamente a prevenire il rischio di dipendenza. Un’ottima alternativa alla noia e al virtuale stesso potrebbe essere quella di rispolverare i vecchi giochi da tavola e condividerli riunendo la famiglia. Senza trascurare l’importanza, sempre attuale, di “maneggiare” un buon libro, magari approfittando dell’apertura delle librerie.

Nei casi più gravi sono sempre attivi i servizi di supporto psicologico messi a disposizione dalle aziende sanitarie locali, in alternativa a professionisti privati. I genitori sono chiamati quanto più possibile a vigilare sulle “attività tecnologiche” dei figli, oggi più che in passato. Ciò a patto che gli stessi “vigilanti” non mostrino i sintomi dello “stress da smartworking”, e cioè noia, ansia, isolamento e alienazione, senza essere capaci di immedesimarsi nei figli. Pensiamo invece, come ha scritto Saint-Exupéry, che tutti i grandi una volta sono stati bambini. Ma pochi se ne ricordano.

 

Dott. Marco Volpe Studio Legale Bernardini de Pace

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