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L'avvocato del cuore
Separazione, mio marito nelle chat hot. Se le uso come prova vìolo la privacy?

“Gentile Avvocato, sto per separarmi. Qualche settimana fa, mio marito ha dimenticato il cellulare in soggiorno e ho scoperto che intrattiene conversazioni erotiche con più persone. Le sue fantasie coinvolgono indistintamente uomini, donne e bambini. In alcune chat ha persino inviato delle sue foto con nostra figlia minore. Sono molto preoccupata per Vittoria, ma avendo acquisito questo materiale a insaputa di mio marito ho paura che il Tribunale non lo prenda in considerazione. Cosa posso fare e quali sono le conseguenze in questi casi?” 

L’acquisizione di prove illecite è oggi molto frequente se si considera la digitalizzazione dei rapporti sociali e la diffusione di strumenti che consentono a chiunque, tramite computer, telefoni cellulari, social network, di reperire dati personali. In particolar modo nei procedimenti di famiglia, accade spesso che il coniuge, in fase di separazione, cerchi di precostituirsi degli elementi a carico dell’altro coniuge. Il problema sorge quando questi elementi probatori vengono acquisiti violando le norme sulla privacy. Si ha violazione della privacy quando il coniuge produce in giudizio dati personali dell’altro in violazione delle norme di cui al Regolamento UE 679/2016. 

Il Regolamento UE 679/2016, però prevede, all’art. 21, una deroga al diritto dell’interessato di opporsi al trattamento dei dati personali, nelle ipotesi nelle quali vi sia l’esistenza di “motivi legittimi cogenti per procedere al trattamento che prevalgono sugli interessi, sui diritti e sulle libertà dell’interessato oppure per l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria”.

Quindi, in base a questa disposizione, è possibile, in alcuni casi, comprimere il diritto alla privacy di una parte al fine di garantire il diritto di difesa di un’altra parte. Anche se non senza alcune limitazioni.

In particolare, per far sì che i dati possano essere acquisiti in giudizio, questi devono essere reali, completi - non possono essere estrapolati solo i contenuti utili per una parte - pertinenti e non devono essere eccedenti rispetto al diritto che si intende far valere in giudizio. 

Altrimenti l’acquisizione deve considerarsi illecita, i dati non utilizzabili, e la prova, eventualmente ammessa ed espletata, illecita e inutilizzabile.

Il codice di procedura penale è molto puntuale in materia e, all’articolo 191, prevede la inutilizzabilità, rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, delle prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge. Mentre, nel codice di rito civile, non c’è una norma analoga.

La Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 3034 del 2011, ha sottolineato che la previsione del consenso del titolare dei dati personali subisce delle deroghe quando si tratti di far valere in giudizio il diritto di difesa secondo le modalità disciplinate dal codice di rito e ha chiarito che le disposizioni che regolano il processo hanno natura speciale rispetto a quelle contenute nel codice della privacy e, pertanto, nel caso di conflitto, prevalgono.

Ancora, con un provvedimento successivo, sentenza n. 35296/2011, la Suprema Corte ha precisato che l’allegazione, in un procedimento, di documenti contenenti dati sensibili, non determina violazione della privacy, qualora la produzione sia necessaria per esercitare il diritto di difesa.

Quindi, in assenza di chiare previsioni normative, la valutazione circa l’ammissibilità delle prove è rimessa al giudice ed è sempre necessario un bilanciamento tra il diritto fondamentale costituzionalmente protetto, violato con l’assunzione della prova illecita  - nel Suo caso, il diritto alla segretezza delle conversazioni di Suo marito garantito dall’articolo 15 della Costituzione - e il diritto che con la produzione della prova illecita si vuole tutelare - nel Suo caso il superiore interesse della minore garantito dagli articoli 2 , 3 e 30 della Costituzione, dall’articolo 3 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del minore del 1989 e dall’articolo 8 CEDU -.

Quindi, cara Signora, il giudice del procedimento civile, nel bilanciamento tra opposti valori e interessi, potrebbe ritenere prevalente l’interesse della minore rispetto alla tutela della privacy di Suo marito e, pertanto, esaminare il materiale da Lei acquisito e prodotto in giudizio.

Ma è importante che Lei sappia che Suo marito, sentendosi danneggiato dall’illecita produzione in giudizio dei propri dati personali, potrà ricorrere al giudice penale chiedendo la Sua condanna ai sensi dell’art 167 del codice della privacy, ossia per trattamento illecito di dati.

Ove accadesse, Lei  potrà invocare a Suo favore una recentissima sentenza della Corte di Cassazione penale, n. 2380 del 2019, la quale prevede che la semplice produzione nel giudizio civile di documenti contenenti dati personali sensibili non dimostra ex se la volontà di causare nocumento, richiesto per la configurazione del reato previsto dall’art 167 del codice della privacy, essendo pochi i soggetti che possono venire a conoscenza dei dati divulgati, cioè solo  giudici, cancellieri e avvocati che a loro volta sono assoggettati al dovere di riservatezza.

Le segnalo invece che, più volte, la Suprema Corte di Cassazione ha ribadito che, in caso di violazione degli articoli 617 e 617 bis del codice penale, i quali disciplinano le modalità di acquisizione delle prove, non opera la scriminante tra coniugi poiché la violazione dei doveri coniugali, anche di fedeltà, non legittima la violazione del diritto alla riservatezza (Cassazione penale 23.5.1994, n. 6727).

Dottoressa Maria Grazia Persico-Studio legale Bernardini de Pace

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