Lo sguardo libero
Iran: la democrazia si può imporre?

L’attacco di Israele contro l’Iran è cominciato la notte tra il 12 e il 13 giugno scorso
L’attacco all’Iran da parte di Israele, sostenuto militarmente dagli Stati Uniti, ha riportato in primo piano un interrogativo antico e irrisolto: si può esportare la democrazia? E soprattutto: è giusto farlo? Dietro la motivazione strategica – fermare il programma nucleare iraniano – si cela una volontà politica ben più profonda: provocare un cambio di regime, eliminare la teocrazia degli ayatollah e avviare un percorso democratico. Parole che riecheggiano le dichiarazioni di Benjamin Netanyahu, che ha parlato di regime change, e le ambizioni del fronte conservatore americano capeggiato da Donald Trump, tornato alla Casa Bianca con toni marcatamente assertivi in politica estera.
Regime change: una strategia logorata dai fatti
Il modello non è nuovo, ma i precedenti sono eloquenti. L’invasione dell’Iraq nel 2003, guidata da una coalizione a guida USA, avrebbe dovuto portare alla libertà e alla stabilità. Ha invece generato caos, terrorismo e la nascita dell’Isis, con circa 800.000 morti e un Paese tuttora fragile. In Afghanistan, due decenni di impegno occidentale sono evaporati in pochi giorni, nel 2021, quando i talebani hanno riconquistato Kabul senza colpo ferire. Israele non ha ottenuto risultati migliori: nel 1982, con l’invasione del Libano, si cercò di creare un governo alleato a Beirut. Il progetto si rivelò fallimentare e produsse l’effetto opposto: la nascita di Hezbollah. Le guerre successive sono anche figlie di quell’errore strategico.
Un impero che non muore
Se la strategia può risultare debole, il sistema americano non lo è. Nonostante divisioni interne, tensioni sociali, polarizzazione politica e un debito pubblico fuori controllo, gli Stati Uniti restano l’unica superpotenza globale a tutto tondo. La spiegazione è strutturale. Il potere americano – come ha osservato Federico Rampini – si regge su quattro pilastri: tecnologia, dollaro, energia, demografia. Questo sistema consente a Washington di esercitare un'influenza capillare nel mondo, senza bisogno di occupazioni dirette. E quando serve – come nel caso dell’Iran – può ancora mostrare i muscoli. Basta osservare le reazioni dei rivali. Vladimir Putin, intrappolato nel pantano ucraino, ha ben pochi margini. Xi Jinping, nonostante l’espansione diplomatica, deve fare i conti con un rallentamento economico, una popolazione in calo e una crescente dipendenza energetica.
La civiltà con la C maiuscola
Se esiste una civiltà con la C maiuscola, quella democratica-liberale, che rappresenta ancora oggi – per dirla con le parole di Winston Churchill – “la peggiore forma di governo, eccezion fatta per tutte le altre finora sperimentate”, l’ interrogativo non è più solo geopolitico, ma morale: è giusto proporre al mondo la nostra civiltà che, con tutte le sue imperfezioni, garantisce diritti fondamentali, benessere diffuso, pluralismo politico e mobilità sociale? Se questa civiltà è, per quanto imperfetta, la migliore, possiamo davvero lasciarla chiusa entro i nostri confini? Possiamo permettere che intere popolazioni ne restino escluse per ragioni storiche, religiose o geografiche? La libertà – come ha ricordato Barack Obama – “può crollare se cediamo alla paura” e “dobbiamo restare vigili contro l’indebolimento dei valori che ci definiscono.”
Difendere la democrazia non è solo un compito culturale o diplomatico, ma concreto. Lo vediamo oggi nella necessità di sostenere l’Ucraina guidata da Volodymyr Zelensky contro l’aggressione dell’autocrate Vladimir Putin. La pace non si mantiene con le parole, ma con la forza della credibilità. E la credibilità si costruisce mostrando di essere disposti a difendere ciò in cui si crede. Giorgia Meloni in Parlamento ha citato i latini: “Si vis pacem, para bellum” (se vuoi la pace, prepara la guerra.) Crediamo ancora che libertà, dignità e diritti siano davvero universali? La risposta non sia ideologica, ma pratica.
Pericle, la libertà e l’esempio
Già nell’Atene classica – V secolo avanti Cristo, dove la democrazia è nata – Pericle rivendicava con orgoglio il ruolo della sua città: “La nostra costituzione si chiama democrazia perché il potere è in mano non a pochi, ma alla maggioranza. E davanti alla legge tutti sono uguali. Nella vita privata, la libertà è tale da non creare sospetti; nella vita pubblica, noi obbediamo ai magistrati e alle leggi, soprattutto a quelle non scritte, che provengono dal senso comune del giusto.” Era una visione alta, forse idealizzata, ma concreta. La libertà come valore condiviso. L’eguaglianza come fondamento. La democrazia non solo come sistema, ma come stile di vita. Atene proponeva se stessa come modello.