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Politicamente scorretto
Sandro Pertini: l'Italia

Ieri, domenica 25 settembre 2016 si è celebrato il 120° anniversario della nascita del Presidente Sandro Pertini.
Sandro Pertini per me e per tanti miei connazionali semplicemente "il Presidente".
Quell' appellativo senza far seguire il nome di battesimo e il cognome.
Come per i genitori; che non hanno bisogno di specifiche; è sufficiente il vocabolo: mamma, papà; punto.
Così Sandro Pertini.
Sarà che il ricordo di Pertini inevitabilmente si intreccia con la mia infanzia e l'immagini che mi si stagliano nella mente, traspaiono dagli occhi di bambino, che percepiscono la realtà che lo circonda come candida, bella, speranzosa; una realtà "mitigata" dal cristallino ancora non offuscato dalle brutture della vita, dalle esperienze, dall'età che avanza e che opacizza il candore innato.
Sarà che Pertini mi impersonificava i nonni che non ho mai conosciuti (passarono a miglior vita prima che nascessi); sarà, ma comunque sia la sua figura rappresentava ciò che era , è e sarà sempre per i nipoti il nonno: la saggezza, l'esperienza, l'esempio sicuro, presente, rassicurante; i valori rilucenti del faro che indica la strada da seguire negli anni dell' infanzia e dell'adolescenza.
Sarà, ma quel immagine che luccicava in me, era solo un poco più splendente, solo un poco, perchè Sandro Pertini "il Presidente" che rappresenterà sempre l'emblema dell' Italia.
Era l'Italia; era l'impersonificazione del popolo.
Un 'esagerazione, non credo.
Presidente della Repubblica dal 1978 al 1985, eletto quando aveva già compiuto ottantanni, la sua biografia è un romanzo che si delinea nel corso del XX secolo e che attraversò la storia moderna del nostro Paese.
Soldato durante la Prima Guerra Mondiale (medaglia d'argento al valor militare), socialista e antifascista fu arrestato due volte, esiliato, e mandato al confino. Eminente rappresentante del CLN, condannato a morte dalle SS riuscì a fuggire dal carcere di Regina Coeli, fu uno degli organizzatori dell'insurrezione di Milano che portarono alla liberazione del 25 aprile.
Dopo la guerra fu eletto senatore e poi deputato alla Camera dove ricoprì per la carica di presidente per 8 anni (due legislature).
Altissimo senso dello Stato, delle Istituzioni, ma soprattutto un profondo affetto per i suoi connazionali.
Un italiano "normale" che aveva a cuore la Patria, la Nazione, lo Stato, il sacro suolo, la vita e il futuro degli italiani.
Era e sarà sempre il più fulgido simbolo dell'italianità.
Si dice che sia stato il Presidente più amato, probabilmente è così ed è facile comprenderne il motivo.
Lottò per due decenni per la democrazia, contro la dittatura, per la libertà, contro l' invasore, a difesa del popolo italiano a difesa dell'Italia che tanto amava.
E quei valori li espresse durante il suo Settennato.
Burbero, certo come tutte le persone "di carattere", ma con un animo sensibile che si manifestava nell'onestà, nel profondo senso civico, nella concretezza delle azioni, nello stile sobrio (quanto, questo termine, è distante dallo sobrietà finta e di facciata di certi politici di oggi e di qualche anno fa....) ma diretto con cui si relazionava con chiunque.
Risiedeva in una piccola mansarda di 35 mq vicino la Fontana di Trevi, rinunciando alla fastosità del Quirinale (la pomposità dei saloni quirinalizi non si sarebbero mai intonati con il suo stile, con la sua vita di combattente, di persona "normale").
Una sola autovettura per gli spostamenti quotidiani con nessuna scorta (la scorta era il "suo" popolo); i pochi giorni di vacanza li trascorreva presso l'accademia allievi ufficiali dei carabinieri, a Selva di Val Gardena per non turbare con le inevitabili (non per Lui) misure di sicurezza, le ferie degli italiani.
Una vita a difesa della Patria in anni difficili, drammatici, duri.
Terrorismo, stragi, criminalità organizzata, crisi economica.
Baluardo della democrazia messa in pericolo dalle organizzazioni terroristiche, strenuo difensore della legalità contro tutte le mafie, tenace oppositore della corruzione e dei privilegi della politica (oggi sarebbe sulle barricate contro al Casta), tanto da rifiutare di firmare un aumento dell'indennità dei parlamentari visto il periodo di crisi che il Paese stava attraversando con un'inflazione a due cifre.
E poi tanti atti concreti di vicinanza alla "sua gente".
La visita ai terremotati dell'Irpinia con le famose parole pronunciate con la consueta tenacia "Fate presto", e il monito oltre alla denuncia espressa a gran voce contro l'inadeguatezza dei soccorsi e il timore, poi verificatosi, della speculazione e le ruberie dei soliti "sciacalli".
La sua presenza e il suo conforto, in quella notte di giugno, ai genitori e ai soccorritori del povero Alfredino Rampi caduto in un pozzo artesiano nella campagna attorno a Roma (Vermicino) e poi spirato alle prime luci dell'alba.
Sempre presente al capezzale delle vittime di eventi naturali o di eventi delittuosi (destò scalpore allorché visitò in ospedale un giovane di estrema destra in coma profondo aggredito mentre affiggeva manifesti).
Fermo combattente contro le mafie cercando in ogni occasione di destare attenzione su un argomento allora celato, nascosto, per paura e omertà, per interessi e sottovalutazione.
E come dimenticare la sua esultanza in tribuna d'onore dello stadio Santiago Bernabeu di Madrid per la vittoria della nazionale di calcio al Mundial 82 e la partita a carte con gli "eroi di quella vittoria" sul volo al rientro in Italia come un qualsiasi "nonno" che si diletta con i suoi coscritti trascorrendo i pomeriggi presso i circoli ricreativi e dopolavoristici disseminati lungo lo Stivale.
La sua popolarità fu così elevata, che fu citato, proprio come simbolo dell'italianità anche in una famosa canzone di Toto Cutugno che spopolava in quegli anni (L'italiano).
In un suo gesto consueto si riassume il suo amore per l'Italia: il bacio alla bandiera in ogni occasione ufficiale, in ogni angolo del mondo dove si recava.
No, non un gesto di "facciata" per apparire, no, un sentimento vero reale, sentito.
Al centro dei suoi pensieri c'era il presente e il futuro degli italiani considerati "i suoi nipoti".
Il lavoro, la garanzia di un lavoro dignitoso che produceva il benessere famigliare, la tranquillità delle famiglie.
La difesa della dignità delle donne e degli uomini contro tutto e tutti.
Sono trascorsi 31 anni da quando finì il suo mandato, 26 anni da quando ci lasciò, sembrano trascorsi secoli.
Si ponga mente a cosa sia oggi l'Italia, a come vivono gli italiani, quale presente si stia vivendo, quale futuro si prospetti.
Si provi a fare un confronto delle "due Italie", di quella del presidente Pertini e quella di oggi.
Oggi anni in cui il nostro Paese è soggiogato, umiliato, vituperato dalle istituzioni della Unione "sovietica" Europea.
No, il "Presidente" non l'avrebbe mai permesso, sarebbe risalito sulle montagne a combattere per la libertà, per la democrazia, per l'Italia e gli italiani.
Avrebbe "preso calci" (metaforicamente parlando, ma forse anche concretamente.....) i responsabili dello sfascio, i "dittatori finanziari", i "lacchè" ipocriti senza spina dorsale che non hanno a cuore l'avvenire della Nazione italica.
Quanto mi manca Sandro Pertini.
Mi piace ricordarlo con la sua inseparabile pipa, con i suoi occhiali scuri, le sue giacche a quadrettini, il suo sorriso rassicurante, la sua caparbietà, la sua "presenza" sempre, ovunque e comunque.
Anche dalla mancanza di figure come Pertini si comprende in che baratro sia finito il nostro Paese.

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