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Rocca sbrocca
Coronavirus e rincorsa all'app. Tutti i rischi del tracciamento
Snowden - il film

Toto app o grandi manovre? Il governo, si sa, ha già scelto quella a livello nazionale Immuni ancora in fase di definitiva approvazione ma in molte regioni hanno proposto, parallelamente, molteplici applicazioni digitali di controllo sanitario del territorio, con il rischio di creare, senza il giusto coordinamento, un vero e proprio caos delle app.

Questa rincorsa all’app ormai ci fa ridere, sia chiaro, si ride per non piangere, in questo periodo particolare in cui la pandemia ci ha portato ad avere timore di ogni cosa, in cui ci guardiamo tutti con sospetto, quando dovremmo ricominciare tutti ad avere fiducia e buonsenso cosa che ci aspettiamo da chi ci governa che per ora non sta dando il buon esempio.

Al netto della tendenza al complottismo come reazione alle limitazioni sociali dovute all’emergenza sanitaria, sarebbe utile avere informazioni chiare e puntuali riguardo l’introduzione di un’applicazione di tracciamento e del suo potenziale sfruttamento.

La prima questione che riguarda la tanto discussa app Immuni per il tracciamento post emergenza Covid-19 selezionata dalla Task force del Governo è: sarà utilizzata come strumento risolutivo o alla fine sarà il preludio di ulteriori limitazioni della privacy a discapito degli ignari cittadini?

Dal punto di vista sanitario, infatti, il tracciamento con l’app è assolutamente inefficace se sganciata dai test a tappeto su tutto il territorio italiano. Insomma, è chiaro che il presidio sanitario territoriale è la conditio sine qua non di tutta questa operazione. Secondo le indicazioni UE, inoltre, sarà funzionale se verrà utilizzata almeno dal 60% della popolazione e quindi risulterà inefficace se verrà usata solo da un numero ridotto di persone. Ma un grande mancanza sul dibattito è la considerazione che né la maggior parte degli anziani over 65, né i bambini posseggono uno smartphone. Le fasce di età più indifese, perciò, restano fuori dall’app per il tracciamento.

Ma ci sono altri punti molto interessanti da analizzare: l’app, che per stessa ammissione del decreto non è in condizione di garantire l’anonimato perché collegata al telefono, registrerà i dati di ognuno di noi conservandoli, quindi non si può dire che i dati non saranno conservati perché qualsiasi esperto informatico sarebbe in condizione di smentirlo.

Da un punto di vista democratico è un grave vulnus perché traccerà tramite bluethooth tutte le frequentazioni, il che fa aprire scenari inquietanti: che posso sapere riguardo ciò che può accadere se ad un certo punto verificano che ho incrociato un positivo e decidono di isolarmi? E se in quel caso non mi fanno il tampone, per quanto tempo mi isolerebbero? E se fossi un over 65 e mi mandassero in una casa di ospitalità lontano dalla mia famiglia?

Dal punto di vista commerciale, invece, questa app metterà le nostre abitudini nelle mani di chi vorrà disporne a scopo di promozioni commerciali, per chi non lo sapesse, le nostre vite hanno un gran valore economico. Senza poi sottovalutare il rischio di trasmissione di dati ad Apple e Google che dovranno realizzare l’interfaccia di programmazione della stessa app.

Infine, vale la pena ricordare il percorso di scelta di questa app: dovevano essere a confronto almeno due progetti ma il governo ha deciso con una procedura d’urgenza in deroga senza il reale confronto competitivo, di scegliere appunto l’app Immuni creata dall’azienda Bending Spoons (con dietro un mix di  imprenditori e con una partecipazione minima ma sensibile dei cinesi). A questo proposito nonostante la ministra dell’Innovazione Paola Pisano abbia rassicurato in Parlamento che chi non userà l’app non sarà penalizzato e che i dati degli utenti “non potranno finire  in mano straniera” e nemmeno “Bending Spoons li tratterà in alcun modo”. Nessuno di noi cittadini è esperto di applicazioni digitali, però una cosa è certa, non capisco per quale motivo quando si deve fare chiarezza e trasparenza su una cosa che comunque riguarda la privacy dei cittadini, si fanno cose complicate come in questo caso nel documento di relazione sull’applicazione del tracciamento dei contatti presentato ed approvato dal Comitato Parlamentare di Sicurezza, hanno inserito 7 commi 1020 parole, 7232 battute, usando termini tecnici, o comunque una terminologia che non si usa nel linguaggio comune tipo la parola “pseudonimizzazione” (che in italiano corrente significa il “mantenere anonimi i dati”) senza darci la possibilità di capire in modo semplice e chiaro il contenuto del testo.  Invece, così si rischia di mandare in confusione l’utente. È vero che il comma 4 dice che chi non userà l’app non sarà penalizzato o discriminato, però se poi servirà per spostarsi dalle regioni, allora quello che sembrava uno strumento facoltativo, non sarà più tale. Poi non si capisce che cosa accade in concreto una volta che scatta l’allerta, chi informa chi? Nel caso in cui si venga in contatto con una persona positiva e si riceve il messaggio di avvertimento, cosa si deve fare? Mi rendo conto che sono azioni successive ma senz’altro sono considerazioni da non sottovalutare. C’è un numero da contattare? E nel caso in cui ci fosse un numero da contattare, se l’individuo in questione non lo facesse, risulterebbe inadempiente? Ne dovrebbe rispondere in sede civile? Bisogna capire anche il funzionamento una volta incrociato per strada un positivo. Le chiamate le gestirà il Ministero della Salute, la sanità territoriale o chi? Ci sarà un comparto che si occuperà di questa cosa?

C’è troppa confusione sul procedimento questo genera sfiducia. Se poi bisognerà usare questa app per un sistema di identificazione o per accedere a dei servizi di amministrazione centrale e territoriale allora il non usarla comporterà una penalizzazione?

Nel caso in cui una persona dovesse viaggiare fuori dall’Italia in quel caso non potrebbe funzione l’app in un paese straniero perché non avrebbe a disposizione i dati di quel territorio per funzionare.

In questo momento sembra che la realtà ha superato i film, sembra di stare nel film “Contagion” con Steven Soderbergh che è incredibilmente diventato reale,  e che  stanno mandando in onda spesso. Pensate che Oliver Stone,  che è un caro amico e viene spesso ospite ai miei festival, mi ha raccontato che quando stava preparando il film “Snowden” si sentiva costantemente spiato tanto che per lavorare al film aveva scelto come ufficio  un posto isolato senza computer e telefonini per lavorare tranquillo senza che qualcuno potesse interferire, sottrargli la sceneggiatura, o avere anteprime sulla trama. Proprio Edward Snowden, ex tecnico informatico della CIA che ha rivelato pubblicamente i dettagli di diversi programmi top-secret di sorveglianza di massa del governo statunitense e britannico, ha rilasciato un’intervista a Report su Rai3 nella quale ha raccontato la sua denuncia di un programma progettato dagli Stati Uniti per  il tracciamento di massa, programma illegale in seguito sospeso. In considerazione di questo, secondo Snowden, l’app che noi dovremmo scaricare in modo consenziente non sarà altro che un tracciamento di massa per sapere quello che facciamo, dove andiamo, violando quella che è la nostra privacy.

È molto importante, perciò, che gli utenti ricevano prima dell’attivazione informazioni chiare e trasparenti per raggiungere una piena consapevolezza sul funzionamento dell’app stessa.

Ma ci sono anche le iniziative regionali.  Ad esempio,  a Milano si permette di far fare ai laboratori di analisi private con un prezzo calmierato i tamponi mentre a Roma non è possibile, le aziende così potrebbero ripartire prima in sicurezza, detraendo l’importo delle analisi fatte dalle tasse che dovrebbero pagare a fine anno.

Le distanze di sicurezza da rispettare, per esempio, variano da luogo a luogo, ed è strano pensare che se in un supermercato al chiuso basta tenersi ad 1 metro e mezzo di distanza, al mare che è pure un luogo all’aperto bisogna tenere una distanza di 4 metri da una persona all’altra.

Le aziende, gli imprenditori, e le persone che sono abituate al fare quotidiano sono stanchi di tutte le polemiche e le cose che non funzionano, bisogna essere più pragmatici e concreti, ripensare al modo di lavorare bisogna reinventarsi le aziende, bisogna trovare nuove strategie per ampliare gli strumenti informatici, questa pandemia ha cambiato le abitudini di tutti, adesso le riunioni sono tutte telematiche e tutte queste lentezze burocratiche, queste task force che non prendono decisioni in tempi rapidi, stanno rallentando la ripresa.

Prendo ad esempio il caso delle mascherine: in molti paesi stranieri sono state regalate alle famiglie meno abbienti, spedite per posta o consegnate all’interno della metropolitana. In Italia, a parte a Napoli dove si sono verificate simili iniziative grazie al governatore De Luca, nonostante le tante promesse di rifornimento, le mascherine, soprattutto quelle a 50 centesimi che dovevano essere la svolta, non si trovano. La scelta da parte del commissario Arcuri di imporre un prezzo stabilito minimo di un bene con una forte domanda non ha funzionato. Dopo pochissimi giorni, infatti, le mascherine sono irreperibili, con tanto disagio per chi la mascherina deve cambiarla più di una volta al giorno.

Ci dovrebbe essere una sinergia positiva, bisognerebbe unire le forze tra pubblico e privato per uscire tutti insieme da questo incubo il prima possibile. Dall’app ai tamponi, alle mascherine introvabili, perché invece di essere uniti per cercare una soluzione comune, si perde tempo a litigare e si complicano le cose. Pesi e contrappesi politici? Interessi economici? Burocrazia? Alla fine, chi ci va di mezzo sono sempre i cittadini. Qualcuno prima o poi ne dovrà rispondere, perché oggi più che mai, gli italiani sono consapevoli di voler cambiare passo.

 

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