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Costume
"Lo sport che riparte è una bufala. Tutto legato a interessi economici"

Lenny Bottai nato il 15 luglio del 1977 a Livorno, pugile divenuto di rilievo internazionale con una carriera anomala. Inizia prestissimo a combattere con buoni risultati a livello nazionale giovanile ma a 21 in seguito ad una squalifica per aver contestato un verdetto ad una finale di un torneo (aver tirato un asciugamano sul tavolo della giuria) abbandona la boxe. Ricomincia dopo sette anni quando pesa circa 100kg. Contro ogni pronostico riesce a risalire la china del dilettantismo e a passare professionista molto tardi, debutta a torsonudo a 31 anni, ma anche se è dato per spacciato compie un’evoluzione inaspettata. Vince due volte campione italiano dei superwelter, un titolo del mediterraneo WBC, un internazionale IBO, un internazionale IBF ed un intercontinentale della stessa sigla che lo proietta nei primi 15 nel mondo e lo porta a disputare una semifinale mondiale a Las Vegas contro l’astro americano Jermall Charlo, oggi campione del mondo imbattuto in due diverse categorie. Personaggio estroverso che non ha mai rinunciato ad esporsi contro il palazzo sportivo ed in generale sui temi politici, militante comunista da sempre, storico capo tifoso del Livorno ai tempi delle famigerate BAL, acronimo di Brigate Autonome Livornesi. Famosa la sua comparsa in diretta nel mondo, proprio a Las Vegas, dove è entrato sul ring con la maglia No Jobs Act. Recentemente è diventato segretario provinciale del Partito Comunista e componente della segreteria regionale toscana, è candidato capolista alle prossime elezioni regionali per il Partito Comunista. Notoriamente attivo con il movimento dello sport popolare su tutto il territorio nazionale ed internazionale.

Abbiamo seguito il video che ha postato sulle due pagine social, molto seguite, nel quale contesta la “bufala” dello sport che riparte, ci può spiegare meglio?

Ho appreso che lo sport sarebbe ripartito dalla TV, dove tra gli entusiasmi e le promo di alcune palestre che hanno prestato il fianco alla tiritera del “finalmente ripartiamo!” nei servizi dei TG si mimava il tutto celando la ben diversa realtà. Poi sono andato a leggermi bene il DPCM ed ho capito che è in pratica come se io dicessi do voler vendere la mia Ford del 2009 a 20.000€. Quelle norme sono impossibili da rispettare per chiunque, e chi magari preso dallo sconforto e dai debiti cederà metterà a rischio se stesso e gli utenti e rimanderà a conti fatti il proprio fallimento solo di qualche mese. Si parla infatti di ridurre ad un terzo la presenza nelle aree di allenamento, lavorare su appuntamento, sanificare ogni superficie ed attrezzo ogni qualvolta che viene utilizzata, sanificare ogni giorno la palestra e gli spogliatoi dove non si potrà comunque fare la doccia. Ovviamente poi è vietato ogni contatto tra atleti, e tra allenatori ed atleti, perché si deve rispettare almeno 4mq di distanza sociale anche durante l’attività. Le sanificazioni sono obbligatorie ed a carico dei gestori che devono tenere un registro dei prodotti utilizzati da presentare ad un eventuale controllo. Tutto ciò fa capire che è una bella fregatura di un governo che per non prendersi le proprie responsabilità ha deciso di accollarle ai gestori degli impianti. Noi dovremmo essere responsabili nell’ora di allenamento di tutto quello che lo stato non è responsabile in ogni angolo di vita collettiva? questo è il ringraziamento per chi attraverso lo sport fa socialità, produce un benessere che ha impatto sulla collettività dal punto di vista sanitario, e nel frattempo offre possibilità di fare auto-reddito in una società dove l’occupazione va inventata.

Non ritiene quindi che le norme imposte siano giuste, cioè che non vi sia un’emergenza dalla quale salvaguarda le persone?

Non dico questo, non sono un virologo, anche se gli stessi dicono tutto e il contrario di tutto e ultimamente un po’ tutti dopo gli svarioni di Burioni lo sono diventati, guardo al mio e sono costretto a giudicare ciò che vivo. Anzitutto c’è da rilevare che è implicito che molte norme sono impossibili da rispettare, questa riapertura è stata presentata e impacchettata come una ripartenza, e ciò avviene solo perché questo modello di società ha fallito grazie a chi per profitto ha prima smantellato la sanità pubblica, ed oggi sempre con lo scopo di mettere davanti a tutto i bilanci e la finanza, cerca di trovare un modo per non rinunciare a riprendere attività produttive e di mercato, per non rinunciare al consumismo a cui siamo incatenati. L’esigenza delle classi dominanti quindi è stata favorita dall’abbandono delle classi popolari, del ceto medio, che lasciati completamenti soli ora iniziano a ribellarsi e chiedono di tornare alla normalità.
Ma chi rispetta veramente tutte queste norme? basta uscire e controllare. Nessuno.
Ai piccoli vengono imposte delle regole rigide che sicuramente non si vedranno altrove, magari nelle grandi aziende, alcune delle quali peraltro sono rimaste sempre aperte perché tutto si può fermare meno che i grandi interessi. Nello sport ad esempio il calcio sta riprendendo, pensate ad un pallone che viaggia e tocca tutti i giocatori, pensate ai contrasti, come possibile che qui si facciano valutazioni diverse? Esistono sport di serie A e altri di B, ovviamente nel sistema capitalista tutto è legato agli interessi economici che una disciplina muove e questo determina la scala di priorità. Ma non solo il calcio dà da mangiare alle persone, anzi, dentro l’associazionismo sportivo e negli sport minori c’è un mondo che se si ferma crea disoccupazione e un disastro sociale. Quindi dico che se c’è questa emergenza, è bene non rischiare, ma lo stato si deve farsi carico del fatto che se non possiamo lavorare dobbiamo comunque mangiare e non accumulare debiti.

Cosa dovrebbe garantire secondo lei?

Visto che non vuole spendere i soldi per fare tamponi a tappeto e far vivere in quarantena solo chi ha il virus, ma si fa vivere tutti in un sistema di restrizioni, intanto per quanto riguarda i centri sportivi dovrebbe:
1- bloccare tutti gli affitti delle strutture pubbliche.
2- bloccare gli affitti delle strutture private e contestualmente le tasse ai privati che affittano i locali in causa per la percentuale riferita ai mesi non incassati.
3- bloccare tutte le utenze, sospendere i pagamenti ed i contratti, e non solo garantire che non vengano applicati gli interessi di mora nei ritardi scontati.
4- per chi non ha altra fonte di reddito e lo sport è occupazione h24, garantire un reddito minimo di sussistenza in attesa che tutto possa ripartire veramente.
Solo così il governo avrebbe il diritto di imporre una chiusura a chi gestisce gli impianti e le strutture sportive, facendo stare le persone tranquille senza mettergli un cappio al collo, permettendo magari a chi rischia il fallimento di aprire in maniera mutilata e costosa, quindi accumulando debiti, aumentando il rischio dei contagi, e prendendosi responsabilità non competono allo sport ma allo stato.
Invece fanno aprire a condizioni assurde e offrono prestiti, ieri ho ricevuto una mail del credito sportivo dove si annunciava che concedono fino a 25mila euro di prestito a bassi tassi (tasso zero è una bufala!) da rendere in futuro. Magari iniziando a pagare tra due anni per diluire il veleno a chi ci cascherà. Ma se io non sono in grado di incassare oggi, come potrò pagare domani quando riprenderò in pratica due volte perché avrò da far girare tutto e rendere il prestito preso per sopperire alle spese a cui non potevo far fronte? è una manovra da curatori fallimentari. L’ennesima dimostrazione che la scala di valori di questa società si basa essenzialmente sul profitto, dove il piccolo soccombe al grande, dal commercio, al lavoro, quindi allo sport, anche in piena emergenza sanitaria. Io ho chiuso prima dell’imposizione, proprio perché prima viene la sicurezza mia e dei miei iscritti poi tutto il resto.

Lei è un grande fautore del movimento dello sport popolare, può spiegarci cosa significa?

Ad essere sinceri l’accezione del termine è molto larga e disomogenea, per me e per molti che la vedono così significa cultura, socialità, reddito in progetti che danno risposte oggettive sui territori e prescindono, anzi rifiutano, il modello basato solo sul profitto e sul mercato. Solo così lo sport può arrivare a tutti e non solo ai benestanti. Con la creazione di spazi condivisi dove attraverso lo sport, sia per agonismo o per pratica amatoriale, possiamo abbattere ogni barriera culturale e sociale. Una concezione di sport che non è un atto politico, ma è un fatto politico in sé, perché va oltre al fatto sportivo, al risultato, che ad ogni modo non deve mancare. Che dà risposte nella società, specialmente nei quartieri e nelle zone dove molti non possono accedere a quello che dovrebbe essere un diritto ma oggi diventa sempre più un privilegio da comprare a caro prezzo, ma che non per questo non deve rappresentare onesto lavoro e reddito. Io sono contro il volontariato, vero o fasullo. Esiste una posizione diametralmente opposta alle due estremizzazioni, e secondo me lo sport deve assolvere a questa necessità. Lo dice chi pur avendo avuto una carriera ad altissimi livelli ha dovuto fare l’equilibrista per avere uno stipendio da operaio, e sempre precario è rimasto. Dietro agli sport minori, dietro alle società sportive, c’è un esercito di persone che hanno trovato l’occupazione che questo sistema non garantisce più e sarebbe il caso, forse, oggi di prenderne atto. Se domani chiudessero tutte le società sportive, le palestre, aumenterebbero i disoccupati, i ragazzi in mezzo alla strada e quindi anche i problemi sociali si moltiplicherebbero. Molti come il sottoscritto sono lavoratori invisibili, ma ci sono. Lo sport non è solo calcio, forse è il momento di prenderne atto. E pensare che Spadafora è ministro del partito che prometteva di cambiare tutto, anche se alla fine non ha cambiato niente. Euro, Nato, e via dicendo. Ma almeno lo sport….

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