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Cronache
Caso Orlandi, altro che molestie: rispunta la pista del terrorismo politico
Emanuela Orlandi

La sorella ha ieri dichiarato a proposito di questa vicenda: «Ne parlai con il mio fidanzato e non con mio padre. Tutto si risolse lì. Della mia vita messa in piazza non interessa nulla, ma la moglie novantenne di mio zio e i suoi figli non ne sapevano niente. Ne avevo parlato solo al confessore. Immagino che abbiano indagato, senza trovare niente. Siamo persone limpide, all’epoca si trattò di uno scivolone di un uomo 50enne e io all’epoca ne avevo 21. Non c’è nessuna rivelazione, il Vaticano sapeva di questa cosa da sempre”.

Tuttavia un poliziotto e un vigile videro una ragazza che assomigliava alla Orlandi parlare con un uomo e l’identikit realizzato assomigliava proprio allo zio.

Lo stesso zio, dopo la scomparsa della nipote, si trasferì a casa degli Orlandi. Meneguzzi aveva frequentazioni col Sisde e fece al padre il nome di un avvocato e gli disse che la parcella l’avrebbero pagata gli agenti segreti, un fatto assai inquietante. Una storia di barbe finte quindi che non mancano mai nei patri misteri.

Pietro Orlandi ha detto di aver sentito la notizia al Tg La7, l’altro ieri: “Quando ho ascoltato Enrico Mentana che quasi con gli occhi gioiosi ha raccontato quella cosa ho subito pensato 'che carogne". Il fratello Pietro ha anche detto che è in atto una manovra per fare uscire le responsabilità dal Vaticano e scaricarle sulla sua famiglia. Ce ne è abbastanza per fare rizzare le antenne, non solo ai giornalisti ma anche e soprattutto ai magistrati sia italiani che vaticani.

Ieri alla Conferenza Stampa, presso l’Associazione della stampa estera a Roma, Pietro Orlandi, presente la sorella Natalina, ha dichiarato: «è in atto un tentativo di scaricare ogni responsabilità sulla famiglia, mi chiedo quale sia la novità rispetto ad allora. Né il Vaticano né la procura (di Roma, ndr) ci hanno mai convocati. Il segreto doveva restare nel confessionale e invece è stato dato alla segreteria di Stato e dalla Santa Sede poi alla procura. Ma era tutto noto. E mio zio quel giorno era in vacanza con la famiglia fuori Roma, come già accertato».

Ma se era “tutto noto” perché la sorella dice che “la moglie novantenne di mio zio e i suoi figli non ne sapevano niente”? Il fratello crede che tutto questo sia un modo per bloccare la Commissione di inchiesta bicamerale già approvata alla Camera ma che ora lo deve essere al Senato.

Tuttavia non si capisce la reazione dei familiari. È ovvio che questa notizia danneggi a posteriori la reputazione dello zio, ma in realtà era un fatto appunto già noto e che anzi era stato stranamente abbandonato nella precedente inchiesta italiana, considerandolo non convincente dal punto di vista investigativo ed ora si sta valutando perché. E quindi poteva essere già conosciuto dall’intera famiglia.

Il fatto nuovo assai rilevante è invece la lettera di Casaroli. Ma quanto successo in questi giorni è importante e non solo un gossip come Pietro Orlandi cerca di far credere. Se si muove un personaggio molto importante, il numero due del Vaticano, come Casaroli allora Segretario di Stato, vuol dire che c’erano cose grosse che bollivano in pentola. Non si tratta perciò di un episodio relegato alla vita privata della famiglia ma proprio per i contatti dello zio con il Sisde assume particolare rilevanza, visto che sembra far convergere la vicenda verso la pista internazionale del terrorismo politico, quella di Woytila – Solidarnosc, cioè la “pista Bulgara” dove è implicato proprio il Sisde. Questo episodio deve essere invece considerato un altro tassello della verità processuale, pur nel rispetto per il dolore della famiglia e delle persone coinvolte dopo tanti anni.

 

 

 

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