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Cronache
Coronavirus, si muore davvero per trombosi? L'Humanitas fa chiarezza

Coronavirus, l'ultima fake news da un finto medico dell'Humanitas: "Si muore per tromboembolia polmonare"

In tempi come questi a regnare nel Paese sono in particolare due cose: il coronavirus e le fake news. L'ultima sta circolando in questi giorni ed è di tipo sanitario, proveniente da un presunto dottore del Gruppo Humanitas di Rozzano (Milano) che scrive come i pazienti arrivino in terapia intensiva per "Tromboembolia Venosa Generalizzata, soprattutto Tromboembolia Polmonare TEP". Smentendo quindi il fatto "che il problema sia la polmonite interstiziale". Ma proprio l'Humanitas ha smentito ad Affaritaliani questa teoria: "Questo medico non lavora da noi, posso confermare che è una fake news. Non è la prima volta in questi giorni che ci arriva il messaggio di questa persona", commentano dall'ufficio stampa.

Un articolo è anche apparso nella mattinata di martedì per chiarire tutto.

ECCO QUI SOTTO CHE COSA SCRIVE L'HUMANITAS

Sta circolando un messaggio – legato alla scoperta delle presunte vere cause del COVID-19 – falsamente attribuito a uno specialista del Gruppo Humanitas.

Facciamo chiarezza sul tema, con particolare attenzione al legame tra COVID-19 e rischio tromboembolico, grazie all’aiuto di due nostri specialisti: il dottor Corrado Lodigiani, Responsabile del Centro Trombosi e Malattie Emorragiche, e il professor Maurizio Cecconi, Direttore del Dipartimento Anestesia e Terapie intensive.

Nel messaggio si sostiene che la letalità della malattia sarebbe legata alle microtrombosi venose e non alla polmonite causata dal virus SARS-CoV-2. Ma come stanno davvero le cose?

COVID-19 e trombosi

Spiega il dottor Lodigiani: “La correlazione tra malattie di tipo infiammatorie, come per esempio le polmoniti e la trombosi in generale (soprattutto venosa), è nota da decenni; si pensi che un paziente con una qualunque polmonite batterica o virale, quindi non necessariamente da SARS-CoV-2, viene abitualmente sottoposto a profilassi tromboembolica con eparina a basso peso molecolare, in quanto esiste una forteraccomandazione in tutte le linee guida internazionali, allo scopo di ridurre o eliminare il rischio di insorgenza di tromboembolismo venoso, ovvero trombosi venosa profonda. Si tratta della formazione di trombi nel sangue delle nostre vene che in alcuni casi possono provocare l’embolia polmonare, un evento potenzialmente fatale. La profilassi tromboembolica si effettua in genere mediante l’utilizzo di eparina a basso peso molecolare e tale raccomandazione è il frutto di uno studio scientifico pubblicato nel lontano 1999”.

“Nel nostro Ospedale oltre il 75% dei pazienti ricoverati con COVID-19 nei reparti dedicati e il 100% di coloro che sono ricoverati in Terapia Intensiva viene sottoposto a tromboprofilassi, come risulta da uno studio1 da noi pubblicato proprio oggi. I pazienti con malattie infettive o settiche gravi presentano uno stato di potente infiammazione che attivando il sistema della coagulazione induce uno stato di ipercoagulabilità e li espone quindi a un alto rischio di trombosi. Ciononostante non ci sono evidenze scientifiche che indichino la trombosi come causa unica di accesso in Terapia intensiva”, aggiunge il professor Cecconi.

Terapia anticoagulante a tutti i pazienti COVID?

“Occorre anche fare chiarezza sulla indicazione, diffusa anche da alcuni media, che tutti i pazienti con COVID-19 debbano fare una profilassi con eparina a basso peso molecolare a domicilio prima del ricovero o che debbano essere trattati con dosi sempre terapeutiche durante il ricovero. Anche in questo caso non ci sono evidenze scientifiche che confermino l’efficacia e la sicurezza di questa scelta. Come già detto l’unica indicazione indiscutibile è quella di somministrare eparina a basso peso molecolare a dosi profilattiche nei pazienti ricoverati che ovviamente non presentino controindicazioni, mentre sul suo utilizzo a dosi terapeutiche in pazienti che non abbiano un certo, e quindi documentato, evento tromboembolico non abbiamo a oggi alcun dato e dobbiamo attendere l’esito di alcuni studi randomizzati che anche in Italia sono in partenza in questi giorni. Dobbiamo infatti ricordare che la terapia antitrombotica per pazienti con trombosi venosa profonda o embolia polmonare deve essere proseguita per almeno 6 mesi ed è quindi inconcepibile iniziare una terapia tanto lunga e potenzialmente pericolosa in pazienti di cui non sappiamo con certezza se tale trattamento possa essere di benefico. Dato che mi è stato chiesto da molti pazienti voglio precisare che l’eparina non protegge in alcun modo dal rischio di contrarre il virus”, prosegue il dottor Lodigiani.

“Non è sufficiente – aggiunge il prof. Cecconi – un’idea con un razionale o dimostrare un’associazione tra due elementi per avviare un trattamento. Occorrono prove di efficacia e sicurezza e dunque studi clinici, a maggior ragione quando si parla di COVID-19, una malattia fino a pochi mesi fa sconosciuta”.

“In conclusione, anche alla luce dei risultati dello studio da noi condotto in Humanitas a oggi possiamo affermare che il tromboembolismo venoso è una possibile e prevenibile complicanza della polmonite da virus SARS-CoV-2 e che l’eparina a basso peso molecolare a dosi profilattiche è un noto ed efficace mezzo di profilassi, che pertanto dovrebbe essere utilizzata sempre ma solo nei pazienti ospedalizzati. Occorrono ulteriori studi per conoscere meglio la malattia causata da SARS-CoV-2 e soprattutto come curarla, senza dimenticare che rappresenta una novità per la medicina globale e che non esistono scorciatoie per ottenere risultati scientificamente provati” hanno concluso il prof. Cecconi e il dottor Lodigiani.

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