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Cronache
Enzo Tortora, 4 decenni dopo non è cambiato nulla: 985 arresti ingiusti l'anno
Enzo Tortora

Enzo Tortora: in Italia 985 casi di ingiusta detenzione l'anno

"Che cos’è cambiato dall’arresto di Tortora? Quasi nulla. I collaboratori di giustizia, che inchiodarono il presentatore con le loro calunnie continuano ancora oggi a far spedire innocenti in prigione per utilità personale, per vendetta o per sentito dire". Lo scrivono sul loro sito Valentino Maimone e Benedetto Lattanzi, fondatori dell'associazione Errorigiudiziari.com, nel giorno del quarantennale dell'arresto di Enzo Tortora (17 giugno 1983). "Nei palazzi di giustizia - aggiungono - spuntano tuttora magistrati superficiali, talvolta innamorati della propria tesi al punto da procedere con il paraocchi e ignorare gli elementi che potrebbero scagionare l’indagato (gli anglosassoni lo chiamano “tunnel vision”). Pure i media non sono poi così diversi da quelli che fecero a gara per mettere su un ignobile tiro al piccione: gli insulti neanche troppo velati dell’epoca si sono trasformati in paginate di intercettazioni irrilevanti, oltraggiose anche per chi è vicino all’indagato e assiste attonito e impotente".

Anche a voler sorvolare sull’emergenza da ingiusta detenzione (985 casi l’anno, da oltre trent’anni), per l'associazione non è affatto vero che in Italia gli errori giudiziari non esistano o "siano talmente pochi da essere derubricati a spunto sarcastico per una battuta in un talk show". Negli ultimi 32 anni, si legge, le persone che sono state condannate con sentenza definitiva, salvo poi essere assolte dopo la revisione del loro processo (è questa la definizione in senso tecnico di errore giudiziario), sono state 222. Vuol dire circa 7 l’anno.

"Poche? Andatelo a dire a Giuseppe Gulotta (22 anni dietro le sbarre perché costretto con la tortura a confessare un duplice omicidio che non aveva commesso) oppure ad Angelo Massaro (21 anni in cella con l’accusa di aver ucciso un suo amico, solo per colpa di un’intercettazione mal interpretata). Il peso degli errori giudiziari in un Paese non si misura con i numeri, ma con il dolore, l’angoscia, il trauma, l’immane fatica per sopportare l’onta, la tremenda solitudine in cui ci si ritrova al momento di dover ricominciare una vita da zero dopo una condanna ingiusta. È questo che accadde a Enzo Tortora, a partire da quel 17 giugno 1983. Ed è quello che continua ad accadere ancora oggi, come se quell’orrore giudiziario non avesse insegnato nulla, come se il fatto che sia capitato a una persona così in vista escluda a priori che possa succedere a tutti. 

Enzo Tortora, come andò la storia dell'arresto

Alle 4 di notte del 17 giugno di 40 anni fa il giornalista Enzo Tortora, uno dei presentatori televisivi Rai più popolari in quel momento (prima di 'Portobello', aveva condotto la 'Domenica Sportiva' e la prima edizione di 'Giochi senza frontiere'), venne arrestato dai carabinieri per traffico di stupefacenti e associazione di stampo camorristico. Un arresto, cristallizzato, tra l'altro, da una foto che fece il giro del mondo e che ritraeva Tortora all'uscita in manette dal comando del Reparto Operativo. L'inchiesta della procura di Napoli scosse il mondo dello spettacolo, turbò l'opinione pubblica (il programma tv ispirato al celebre marcatino londinese era seguito da 26 milioni di spettatori) e divise il Paese intero tra colpevolisti e innocentisti.   

Tra "falsi pentiti", alcuni dei quali legati alla Nuova Camorra Organizzata, e "falsi testimoni", furono quasi venti le persone che tirarono in ballo Tortora indicato quale corriere di stupefacenti per conto della NCO. Accuse che i magistrati partenopei dissero di aver vagliato e riscontrato con attenzione. Il giornalista, rinchiuso nel carcere di Regina Coeli e poi in quello di Bergamo, scrisse numerose lettere per proclamare la sua innocenza e solo dopo sette mesi di detenzione ottenne gli arresti domiciliari nella sua casa di Milano. 

Eletto eurodeputato del Partito Radicale il 17 giugno 1984, il 20 luglio 1984 tornò in libertà ed annunciò che avrebbe chiesto al Parlamento europeo di concedere l'autorizzazione a procedere nei suoi riguardi. L'autorizzazione fu data il 10 dicembre. Rinviato a giudizio, il 4 febbraio 1985 Tortora comparve davanti al tribunale di Napoli e ribadì la sua estraneità ai fatti contestati. Ma il 17 settembre dello stesso anno i giudici si pronunciarono per la sua condanna a dieci anni di reclusione per associazione per delinquere di tipo mafioso e traffico di stupefacenti. Sentenza poi ribaltata il 15 settembre 1986 dalla corte di appello di Napoli: Tortora fu assolto con formula piena ed i pentiti ritenuti non credibili. "E' la fine di un incubo", disse il presentatore che divenne il simbolo dell'errore giudiziario.    

A mettere la parola fine all'intera vicenda fu la prima sezione penale della Cassazione il 13 giugno 1987. Ma meno di un anno dopo, il 18 maggio 1988, Enzo Tortora morì per un cancro ai polmoni. Le lettere scritte durante la detenzione e indirizzate alla famiglia furono pubblicate nel 2002 dalla figlia Silvia (deceduta il 10 gennaio 2022 a 59 anni), in un libro dal titolo 'Cara Silvia'. Lei, così come la sorella minore Gaia, si è sempre battuta per riabilitare la figura del papà e sollecitare una riforma del sistema penale che scongiurasse il ripetersi di altri, clamorosi, errori giudiziari.

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