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Cronache
G8 di Genova 2001, 20 anni dopo: i sogni ancora attuali per i ragazzi di oggi
G8 di Genova
Lapresse

20 anni dopo il G8 di Genova, 19 - 22 Luglio 2001: secondo Amnesty International la “più grave sospensione dei diritti democratici in Europa dopo la seconda guerra mondiale”: i dubbi, le domande, le ferite, Carlo, che resterà per sempre un ragazzo e noi i ragazzi di oggi

 

“Sogna ragazzo sogna, quando cade il vento ma non è finita, quando muore un uomo per la stessa vita che sognavi tu”. È con questi versi di Roberto Vecchioni che riavvolgo il nastro di ciò che ho letto e che ci è stato raccontato. Io non c’ero. Avevo 8 anni. La mia generazione non c’era.

“Lasciali dire che al mondo quelli come te perderanno sempre, perchè hai già vinto, lo giuro e non ti possono fare più niente”. Vecchioni cantava questi versi nel 1999. Questi versi c’erano, e rimarranno.

Venerdì 20 Luglio 2001, a Genova c’erano i sogni, i distruttori di essi e chi sognava troppo forte da non riuscirne a contenere il peso. I primi scontri avvengono in piazza Paolo da Rovi, tra i black bloc e la polizia e continuano inotrno al carcere di Marassi. Nelle prime ore del pomeriggio la polizia carica un sit-in dei pacifisti della Rete Lilliput provocando circa 60 feriti. I racconti, i ricordi portano subito in Via Tolemaide al corteo delle tute bianche, le forze dell’ordine caricano il corteo con armi non di ordinanza. Il processo stabilì che quelle cariche non erano concordate. Il perché sia successo, ragazzi come noi non possono saperlo.

Non c’erano. Possono però immaginarselo, possono, anzi devono, ritrovarlo nella verità. Dopo ore gli scontri virano in Piazza Alimonda. Qui le forze dell’ordine esauriscono i lacrimogeni. Devono ritirarsi, senza armi non c’è guerra.

Ma uno dei due mezzi blindati rimane bloccato da un cassonetto della spazzatura. L’ordine già smarrito nelle ore prima, nei mesi prima, anzi si è consumato negli anni quando i movimenti “no global” si rafforzavano diventando troppo “scomodi”: nel Novembre del ’99 a Seattle, nel settembre del 2000 a Praga, nel Marzo del 2001 a Napoli (preludio importante nel suolo italiano) nel Giugno del 2001 a Goteborg. La misura dell’ordine è sempre stata soggettiva nell’uomo, ed ha necessità di cessare quando subentra il caos.

Cosa chiedevano i ragazzi di 20 anni di allora? Erano contro la globalizzazione? O ne chiedevano una diversa? Protestavano, contro l’aumento delle disuguaglianze, contro la devastazione ambientale, protestavano a favore della cancellazione del debito nei paesi più poveri. Erano contro tutto e tutti? O contro l’interpretazione del tutto? Noi non possiamo saperlo, non c’eravamo. Possiamo immaginarlo, 20 anni dopo, che per pochi quel “tutto” era necessario per costruire una società perfetta, pulita, l’esasperazione dell’apparenza come quei limoni finti che fecero appendere agli alberi della città della lanterna.

Sono le 17:27 di venerdì 20 luglio 2001, da quel defender rimasto bloccato da un casonetto partono due colpi di pistola. Carlo Giuliani, 23 anni, stava raccogliendo un estintore vuoto. Non farà in tempo a dirci il perché, ma ce lo diranno in tanti senza averne il diritto. Uno dei due colpi lo raggiunge in viso, facendolo rimanere per sempre un ragazzo. La camionetta, prima di lasciare il campo base di piazza Alimonda passerà due volte sul corpo di Carlo: “sogna ragazzo sogna”.

La nostra generazione non c’era. Ma da li è cambiata la nostra vita; la mia, quella dei miei amici e quella di tutte le persone che in quei giorni hanno attraversato i carruggi. Abbiamo un estintore, un ragazzo di 23 anni e due colpi di pistola. Ritrona, a questo punto della storia, in mente un libro di Alejandro Jodorowsky che si intitola “Il dito e la luna” e riporta gli insegnamenti del maestro zen Ejo Takata. Tutto ruota intorno ad un antico proverbio orientale che dice che quando il saggio indica la luna, lo sciocco guarda il dito. Si parla di haiku e koan della tradizione zen, racconti che permettono al discepolo di guardare oltre il dito, e poter ammirare solamente la bellezza della luna.

Anche noi siamo figli di quei giorni, e forse la morte di Carlo può insegnare ai ragazzi d’oggi a togliere lo sguardo dal dito, per poter osservare finalmente la luna, la stessa che l’uomo calpestò per la prima volta, casualmente proprio in quelle date, 32 anni prima.

Il giorno seguente il Global social forum organizza un corteo a cui parteciperanno circa 300mila persone. Ma l’ordine si è già smarrito nel caos. Le manifestazioni pacifiche vengono disperse in tronconi e le forze dell’ordine caricano e arrestano i manifestanti. La caserma di Bolzaneto si trasforma nel teatro dell’orrore, luogo di pestaggi, insulti e umiliazioni; verso mezzanotte la polizia e i carabinieri irrompono nella scuola Diaz usata da molti come dormitorio, gli occupanti non fanno resistenza: 61 feriti e circa 90 persone fermate e portate nella caserma di Bolzaneto dove ad aspettarli ancora offese, pestaggi e vilipendi. Hard disk, video e testimonianze vengono distrutti e cancellati per sempre.

“Perché” è una domanda talmente banale che può racchiudere mille sfumature. Cosa è stato imposto e cosa non si doveva chiedere? Da allora il modo di far politica e di intenderla da chi ci governa cambierà per sempre, come la partecipazione politica delle generazioni successive, fino alla mia. Di questo anche se non c’ero ne sono sicuro. 20 anni possono sembrare tanti, ma le ferite che la nostra democrazia si è portata dietro, tra depistaggi e anni di processi, risentono ancora di un dolore profondo arrivato fin qui, fino a noi che non c’eravamo, che solo la verità e la memoria nella trasmissione, nella conservazione e nella condivisione possono affievolire. Per questo ricordare quei giorni è un dovere di tutti. Di chi c’era e di chi no.

20 anni dopo, di zona rossa in zona rossa, come quella invalicabile di Genova in quei giorni, è doveroso porsi una domanda: “Un altro mondo è possibile” o “un altro mondo è necessario”? Per questo bisogna continuare a cantare: “Sogna ragazzo, sogna”.

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