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Cronache
Marò, la Corte Suprema indiana. "Latorre può restare in Italia"

 

Il fuciliere Massimiliano Latorre potrà restare in Italia fino al termine dell'arbitrato internazionale in corso all'Aja, sostanzialmente con le stesse condizioni già disposte per l'altro marò Salvatore Girone. Lo ha deciso oggi la Corte Suprema di New Delhi, nell’udienza riguardante la libertà provvisoria per Latorre. Nell’aula 2 della Corte Suprema si è aggiunto dunque un nuovo, positivo capitolo della storia iniziata nel febbraio del 2012, quando due pescatori indiani furono uccisi al largo delle coste del Kerala dai colpi esplosi dalla petroliera battente bandiera italiana, Enrica Lexie. Le autorità del Kerala accusano Latorre e Girone, che erano a bordo della nave in servizio anti-pirateria, di essere i responsabili della loro morte.

Latorre venne colpito da un ictus nel 2014 e da allora, la stessa Corte indiana aveva emesso diversi permessi per consentire al marò di rimanere in Italia e ricevere le cure mediche. L’ultimo permesso scadeva il 30 settembre. Nell'udienza odierna i legali del fuciliere hanno richiesto l'applicazione per Latorre della stessa decisione presa nei riguardi di Salvatore Girone, autorizzato ad attendere in Italia la sentenza della Corte permanente di arbitrato dell’Aja, che dovrà decidere chi fra Italia e India ha la giurisdizione sull’incidente che ha coinvolto l’Enrica Lexie e il peschereccio indiano St. Antony.

L'istanza è stata dunque accolta, con soddisfazione della Farnesina, che in un comunicato parla della decisione della Corte Suprema indiana come di un "passaggio importante che riconosce l'impegno intrapreso dal governo italiano con il ricorso all'arbitrato internazionale per fare valere le ragioni dei nostri due Fucilieri di Marina. Con identico impegno - promette il ministero degli Esteri - l'Italia affronterà i prossimi passaggi del procedimento arbitrale, che entra ora nel merito del caso della Enrica Lexie".

Paola Moschetti, compagna di Latorre, ha espresso all'Ansa il sollievo per un verdetto che "momentaneamente spezza questo circolo vizioso che vedeva ogni tanto la nostra vita messa in discussione. Ora avremo più tempo per recuperare una vita normale. Massimiliano è contento, anche per lui si prospetta un periodo più tranquillo".

L’incidente. Era il 15 febbraio dl 2012, quando la petroliera battente bandiera italiana navigava da Galle (Sri Lanka) in rotta verso Gibuti con un equipaggio di 34 persone e 6 fucilieri del Reggimento San Marco della Marina Militare, in missione di protezione della nave mercantile in acque ad alto rischio pirateria. A poche miglia di distanza dalla nave italiana, si trovava il peschereccio indiano St. Antony. 11 uomini a bordo. Le due imbarcazioni si incrociano, i marò, convinti di trovarsi sotto un attacco pirata, sparano colpi di arma da fuoco verso l’altra nave. Poco dopo, il St. Antony riporta alla guardia costiera del distretto di Kollam che colpi di arma da fuoco, provenienti da un mercantile italiano, hanno colpito a morte due pescatori a bordo della nave: Ajeesh Pink e Valentine. La guardia costiera indiana contatta l’Enrica Lexie, chiedendole se sia stata coinvolta in un attacco pirata e, dopo la risposta affermativa, chiede alla nave di attraccare. Il comandante asseconda le richieste e attracca. Pochi giorni dopo la Corte di Kerala dispone l’arresto dei due fucilieri.

Le accuse. L’india non è disposta a cedere Salvatore Girone e Massimiliano Latorre  e si accende il dibattito internazionale. La Corte dello Stato indiano afferma che i due militari debbano essere sottoposti alla giurisdizione indiana, nonostante si trovassero in una nave battente bandiera italiana e li accusa di omicidio, per poi rilasciarli sotto cauzione. Da questo momento, iniziano, per i due militari, le continue partenze e ritorni destinati ad infuocare sempre di più i rapporti tra i due Paesi. La Corte Suprema indiana sentenzia che la Corte di Kerala non ha la giurisdizione per procedere contro i due militari che vengono trasferiti a Nuova Delhi.

La versione italiana. Secondo l’equipaggio dell’Enrica Lexie, la nave viene avvicinata da un’imbarcazione da pesca con a bordo uomini armati con evidenti intenzioni di attacco. Il comandante della nave avvia la procedura antipirateria, attiva le sirene e le luci d’allarme e incrementa la velocità dell’imbarcazione. I sei fucilieri agiscono secondo le regole d’ingaggio e avviano una serie di “azioni dissuasive”: sparano tre raffiche di colpi d’avvertimento. Dopo aver respinto l’attacco, l’Enrica Lexie riduce la velocita e mentre naviga a 38 miglia dalla costa indiana riceve la telefonate della guardia costiera indiana alla quale comunica l’attacco pirata. Le autorità indiane chiedono al mercantile di attraccare per riconoscere i pirati. Il comandante inverte la rotta e solo al momento dell’attracco viene informato che le autorità italiane non stanno indagando sui pirati, ma sull’equipaggio della nave italiana, colpevole di aver ucciso due pescatori indiani.

La versione indiana. Il peschereccio St Antony lancia l’allarme alla Guardia costiera indiana riferendo di essere stato colpito da raffiche di arma da fuoco. Le autorità indiane avviano le indagine e riportano che l’Enrica Lexie ha riferito l’incidente solo dopo essere stata interrogata, venendo meno ai regolamenti che impongono di fare rapporto in caso di attacco pirata e allontanandosi di 39 miglia, verso l’Egitto, senza avvertire. Inoltre, secondo gli inquirenti indiani, il comandante della nave italiana e il resto dell’equipaggio avrebbero riferito che il St Antony era un normale peschereccio con a bordo del personale dedito a normali operazioni di pesca.

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marò latorre india
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