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Cronache
Soffre di agorafobia, ma il giudice la costringe a partorire in ospedale
Gravidanza

È incinta ma soffre di una forte forma di agorafobia (paura degli spazi aperti) che da quattro anni la costringe a stare in chiusa in casa: il tribunale la obbliga a partorire in ospedale, contro la sua volontà.

La giovane partoriente, di soli 21 anni, ha gestito tutta la gravidanza in casa, per via della sua invalidante patologia. Svolti tutti gli esami del caso presso il proprio domicilio, avrebbe voluto fare in casa anche il parto, nonostante il parere contrario sia del suo compagno che di sua madre.

A prendere la decisione è stato quindi il tribunale di Londra, che ha autorizzato l’ospedale a utilizzare la forza per procedere al ricovero della partoriente. “Mi rendo conto che per lei sarà un calvario”, ha detto il giudice alla futura mamma, che ha seguito l’udienza in collegamento streaming, ovviamente da casa. Tuttavia, la corte si è mantenuta ferma nello stabilire la necessità di un parto in clinica, “per prevenire qualunque problema e possibili conseguenze drammatiche”. 

A richiedere l’intervento giudiziario erano stati gli avvocati dell’ospedale, per ottenere un’esplicita autorizzazione all’uso della forza. Il giudice li ha accontentati, definendo nei dettagli quali metodi possono essere utilizzati allo scopo: ad esempio, non sarà consentito mettere la donna in posizione prona o bloccarla con strumenti meccanici. Riconoscendo una limitata capacità di decidere da parte della partoriente, proprio per la sua fobia, il giudice ha dovuto soppesare entrambe le possibilità, visto che alcuni specialisti hanno spiegato che a donna potrebbe subire dei danni psichiatrici, in caso di ricovero coatto. Tuttavia, il tribunale ha stabilito che procedere in questo senso fosse “nel miglior interesse della donna”, che oltretutto vive in una posizione disagevole fuori Londra. “E’ meglio così, invece che rischiarsi di doversi precipitare in ospedale con una tremenda corsa nella notte”, ha concluso il giudice.

Un caso decisamente curioso, anche sul piano etico, ma non raro. Basti pensare che – solo in Italia – le persone che soffrono di fobia sono tra 750.000 e due milioni e mezzo. Una quantificazione più precisa non è agevole, in quanto molti non dichiarano i propri disturbi e comunque ne soffrono in misura molto variabile e soggettiva, certamente non tutti al livello della 21enne inglese.

Cosa sono le fobie?

Le fobie possono essere di vario tipo, ma quelle più diffuse sono proprio l’agorafobia e il suo opposto speculare: la claustrofobia, ovvero la paura degli spazi chiusi.

In tutti questi casi, un problema ulteriore è l’ansia anticipatoria, ovvero una vera e propria crisi di panico che insorge prima della fobia vera e propria, per la “sola” angoscia di andare verso una situazione di paura. Un tema che, ad esempio, è ben noto alle numerose persone che soffrono di aviofobia (la paura di volare): molto spesso, i sintomi più pesanti si registrano il giorno prima di prendere l’aereo o anche entrando nell’aeroporto, mentre il volo può anche andare discretamente bene.

Come aiutare chi soffre di queste fobie?

Bisogna innanzitutto capire bene di cosa si tratta e distinguerle dalla paura in senso stretto, che è invece uno strumento utile a non mettersi in pericolo. La fobia è una paura angosciosa, ma immotivata e proprio per questo di carattere patologico. È perfettamente inutile sottolineare l’assenza di un pericolo reale, perché questo non aiuta chi sta male e, anzi, può peggiorare la soluzione, facendolo sentire socialmente inadeguato. La soluzione più efficace è la psicoterapia, che aiuti il soggetto a spezzare il legame tra un’angoscia che in realtà sta altrove e un fattore esterno al quale essa viene arbitrariamente collegata. Che l’oggetto esterno sia un ragno o un cavallo (altre due fobie molto diffuse) in fondo conta poco. Altrettanto prezioso, soprattutto durante il percorso psicologico, è il sostegno degli psicofarmaci, che abbassando la sintomatologia aiutano la persona a trovare la propria strada. Talvolta anche in senso letterale. 
 

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