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Cronache
Stato mafia, i dubbi della Corte sul papello di Riina: "Forse non è autentico"

MAFIA: PROCESSO TRATTATIVA, CORTE 'DUBBI SU AUTENTICITA' PAPELLO'

E' il 'papello', cioè l'elenco contenente le richieste che il boss mafioso Totò Riina avrebbe fatto a rappresentanti dello Stato per fare cessare la strategia stragista di Cosa nostra, il protagonista della prima parte dell'udienza del processo d'appello per la trattativa tra Stato e mafia che oggi prosegue con la relazione introduttiva del Presidente della Corte d'appello Angelo Pellino. Il giudice, che ripercorre il punti salienti del processo di primo grado, ricorda le "sicure modifiche apportate da Massimo Ciancimino assieme alla persistente incertezza sul vero autore del documento". Per il Presidente Pelino "le prove sull'autenticità finiscono per passare dalle dichiarazioni di Massimo Ciancimino, caratterizzate da oscillazioni e incertezze. Questi elementi costituiscono un ostacolo insormontabile a provare la sua autenticità sostenuta dall'accusa". Per Pellino "la falsificazione documentale è stata utilizzata da Ciancimino per supportare le sovrastrutture artificiosamente aggiunte ma il contenuto corrisponde effettivamente alle richieste promanate dai vertici mafiosi". Lo stesso Brusca nel '96, ancor prima di Massimo Ciancimino, parlo' di un 'papello' precisando di non avere mai visto il documento scritto. E' provato, si legge nelle motivazioni della la Corte d'assise, che Riina - sostiene Pellino - abbia risposto alla sollecitazione pervenuta facendo conoscere le condizioni per far cessare la strategia stragista. Non e' provato che il papello sia stato effettivamente scritto da lui. Resta da provare che la minaccia di riprendere o proseguire la strategia stragista - nel caso in cui le condizioni non fossero state accolte - sia pervenuta al destinatario".

Anche il gup del Tribunale Marina Petruzzella, che aveva assolto l'ex ministro Calogero Mannino nel processo stralcio sulla trattativa Stato-mafia, aveva parlato del 'papello' come "frutto di una grossolana manipolazione" di Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo e teste principale del processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. Ciancimino "lo ha fornito solo in fotocopia senza dare di ciò alcuna motivazione plausibile, posto che la circostanza che si trovasse in cassaforte all'estero non avrebbe impedito la consegna dell'originale; - scriveva il gup nelle motivazioni dell'assoluzione- ed è evidente che le fotocopie, con l'uso di carte e inchiostri datati, impediscano l'accertamento delle epoche degli originali, oggetto della copiatura; non ha voluto rivelare chi gli avesse spedito il papello dall'estero, come da lui sostenuto, né perché non potesse dirlo ai pm e ha detto di non conoscerne l'autore". "E naturalmente - stigmatizzava il giudice - non si può non sottolineare come il castello accusatorio si sia fondato su documenti prodotti da Massimo Ciancimino in semplice fotocopia e non in originale". In primo grado erano stati condannati tutti gli imputati, fatta eccezione per l'ex Presidente del Senato Nicola Mancino. Condannato a dodici anni di carcere gli ex vertici del Ros Mario Mori e Antonio Subranni. Stessa pena per l'ex senatore Dell'Utri e Antonino Cinà, medico fedelissimo di Totò Riina. Otto gli anni di detenzione erano stati inflitti all'ex capitano dei carabinieri Giuseppe De Donno, ventotto quelli per il boss Leoluca Bagarella. Per il cognato dei capo dei capi, dunque, una pena superiore rispetto ai sedici anni chiesti dai pm Di Matteo, Vittorio Teresi, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene, che invece per Mori volevano una condanna pari a 15 anni. Prescritte, come richiesto dai pubblici ministeri, le accuse nei confronti del pentito Giovanni Brusca, il boia della strage di Capaci. L'accusa è rappresentata dal pg Giuseppe Fici e dal pg Sergio Barbiera.

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