"Vi aspettavo", le ultime parole dei servitori dello Stato uccisi
LA SCHEDA ![]() Per la prima volta questo libro raccoglie le ultime parole di quei servitori dello Stato che le istituzioni non hanno saputo e molto spesso non hanno voluto proteggere. Il testamento spirituale di magistrati, investigatori, uomini che hanno fatto politica, sacerdoti, giornalisti, avvocati, che per non aver mai arretrato nel loro compito, anche se avevano chiara la percezione dell’isolamento e della morte dietro l’angolo, sono stati uccisi. Il libro riporta documenti, spesso inediti, messi a disposizione dai familiari o depositati in archivi di organi istituzionali. La loro voce e le loro ultime parole tra la vita e la morte confermano drammaticamente, ancora una volta, che in nessun altro paese del mondo cosiddetto civile le loro vite sarebbero state spezzate. Sono loro i nuovi partigiani della Repubblica italiana. Questo libro è anche un modo per rendergli onore lasciando a loro e solo a loro la parola. Antonella Mascali, giornalista de «il Fatto Quotidiano», ha mosso i primi passi nel giornalismo quando era ancora al ginnasio, alla redazione de «I Siciliani», il mensile fondato da Pippo Fava, ucciso il 5 gennaio 1984 a Catania. Si è trasferita a Milano, nonostante l’amore per il mare e la sua città, e si è laureata in Scienze politiche all’Università Statale. Come inviata di Radio Popolare a Palermo ha seguito i fatti più tragici degli anni Novanta: l’omicidio di Libero Grassi, le stragi di Capaci e via D’Amelio. Tra i processi più importanti della storia recente d’Italia ha seguito, a Palermo, quello a Giulio Andreotti, Marcello Dell’Utri e Totò Cuffaro. A Milano, quello a Silvio Berlusconi, David Mills, Cesare Previti e per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi. Ha scritto per Chiarelettere Lotta civile (2009), Il regalo di Berlusconi (con Peter Gomez, 2009), e ha curato il libro Le ultime parole di Falcone e Borsellino (prefazione di Roberto Scarpinato, 2012).
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VI ASPETTAVO
LE ULTIME PAROLE DI CHI HA SACRIFICATO LA PROPRIA VITA PER TUTTI NOI
A cura di Antonella Mascali
Prefazione di Gian Carlo Caselli
«Sventurata la terra che ha bisogno di eroi.» Bertolt Brecht Italia 1978-2014.
Magistrati, giornalisti, preti, avvocati, professori, politici, investigatori: I servitori dello stato che lo Stato non ha saputo e molto spesso non ha voluto proteggere.
«Sono stato lasciato completamente solo.» Mario Amato, magistrato, ucciso il 23 giugno 1980
«Chiedo che ai miei funerali non partecipino né autorità dello stato né uomini di partito.» Aldo moro, politico, ucciso il 9 maggio 1978
«Io non mi sento protetto dallo Stato.» Paolo Borsellino, magistrato, ucciso il 19 luglio 1992
«Me L’aspettavo.» Don Pino Puglisi ai suoi killer, 15 settembre 1993
«Non mi sparate in faccia.» Marcello Torre ai suoi killer, 11 dicembre 1988
Venerdì 9 il libro sarà presentato al Salone del Libro di Torino
Sala Rossa – ore 13.00

LETTERE DEI CONDANNATI A MORTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA In occasione della pubblicazione di VI ASPETTAVO a cura di Antonella Mascali, prefazione di Gian Carlo Caselli Con Gian Carlo Caselli, Antonella Mascali Letture di Glenda Plumari
ESTRATTO DALLA PREFAZIONE DI GIANCARLO CASELLI (per gentile concessione di Chiarelettere)
L’elenco delle vittime della violenza omicidiaria terroristica o mafiosa, in Italia, è purtroppo sterminato. In questo libro – bello nella sua tragica cupezza – Antonella Mascali ne rievoca molte sull’uno e sull’altro versante, dedicando a ciascuna un lucido e preciso commento, intrecciato con citazioni – anche inedite o poco conosciute – di interventi degli stessi protagonisti, spesso struggenti perché testimoniano la consapevolezza dei rischi incombenti che si sarebbero poi concretizzati in un attentato mortale. Le fasce professionali e sociali cui appartenevano le vittime sono le più diverse: preti, magistrati, giornalisti, forze dell’ordine, esponenti della società civile, amministratori e politici onesti. La scia di sangue che unisce quasi tutte le persone colpite qui ricordate dalla Mascali è segnata dalla loro solitudine, con conseguente «logica» e ineluttabile sovraesposizione alla rappresaglia criminale. Al riguardo, fra le tante – con selezione certamente arbitraria di cui mi scuso – segnalo alcune posizioni.
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, osannati da morti, sono stati ostacolati e vilipesi – umanamente e professio nalmente – da vivi. Secondo l’amico Paolo (discorso tenuto nel trigesimo della strage di Capaci), Falcone aveva cominciato a morire quando la maggioranza del Csm gli aveva incredibilmente negato la successione a Nino Caponnetto come capo dell’Ufficio istruzione, determinando l’inesorabile azzeramento del «pool» e la cancellazione del metodo di lavoro che era alla base del capolavoro investigativo- giudiziario del maxiprocesso.
Effetti contro cui Borsellino aveva coraggiosamente preso posizioni pubbliche decise, col risultato di essere sottoposto – dal Csm – a un procedimento paradisciplinare. Professionisti dell’antimafia, uso spregiudicato dei pentiti, pool trasformato in centro di potere, distorsione della politica a fini politici di parte: ecco il catalogo delle calunnie scatenatosi sulle loro teste. Ben sintetizzato da un giornalista, Lino Jannuzzi, che passa per un campione dell’Antimafia, mentre pochi mesi prima dell’assassinio di Falcone «Il Giornale di Napoli» da lui diretto aveva pubblicato un articolo non firmato (quindi riferibile al direttore) che testualmente sosteneva: «Giovanni Falcone e Gianni De Gennaro sono i candidati favoriti per la direzione rispettivamente della Dna e della Dia [...]. È una coppia la cui strategia, passati i primi momenti di ubriacatura per il pentitismo e per i maxiprocessi, ha approdato al più completo fallimento: sono Falcone e De Gennaro i maggiori responsabili della débâcle dello Stato di fronte alla mafia [...]. Se i “politici” sono disposti ad affidare agli sconfitti di Palermo la gestione nazionale della più grave emergenza della nostra vita, è, almeno entro certi limiti, affare loro. Ma l’affare comincia a diventare pericoloso per noi tutti: da oggi, o da domani, quando si arrivasse a queste nomine, dovremo guardarci da due Cosa nostra, quella che ha la Cupola a Palermo e quella che sta per insediarsi a Roma. E sarà prudente tenere a portata di mano il passaporto».
Ubriacatura per il pentitismo, fallimento, débâcle, sconfitta, cupola mafiosa: una serie di delicati concetti, che Falcone avrà letto con lo stesso piacere con cui aveva saputo che alcuni corvi infami – nel 1989 – spargevano la calunnia che il fallito attentato all’Addaura se l’era organizzato da solo per farsi pubblicità. Quanto a Borsellino, umiliato con l’ostinato diniego a che si occupasse del pentito Gaspare Mutolo (divieto caduto soltanto negli ultimi giorni della sua vita), sono note le polemiche che investirono il procuratore Giammanco per l’insufficiente protezione del collega, nonostante dopo la morte di Falcone fosse evidente che la stessa sorte poteva toccare a lui, polemiche che costrinsero il procuratore a trasferirsi in Cassazione.