Culture
Brera, James Bradburne ad Affari: "Non vogliamo visitatori, ma appassionati"


La sfida è rimasta la stessa: quel "far ballare le mummie" che il leggendario direttore del Metropolitan di New York Thomas Hoving lanciò dalla fine dei Sessanta. Ma lo stile è diverso, l'approccio quasi opposto.
Da un lato Hoving, che mirava a far soldi vendendo persino mutande di seta con "La crocifissione" del Cimabue o copie in ologramma di una Madonna del Giambellino che strizza l'occhio oppure David dolicocefali in vetroresina, ma soprattutto ad allargare la platea dei visitatroi con grandi mostre come "L'epoca degli impressionisti" oppure quella sugli sciiti, quella fotografica su Harlem e la memorabile "L'anno 1200", e via dicendo.
Contraltare attuale e pronto a mettere in azione le opere, le "mummie", della pinacoteca che gli è stata affidata da sole cinque settimane, il canadese James Bradburne, 59 anni, studi a Londra, Amsterdam e Los Angeles, proveniente da dieci anni di direzione della Fondazione Palazzo Strozzi a Firenze. "A Brera non vogliamo visitatori", ci dice in un'intervista esclusiva rilasciata ad Affaritaliani. "I visitatori fanno una visita e non tornano più, noi vogliamo dei fruitori, che usufruiscono delle opere, le vivono e vengono a riappropriarsene ogni volta da un nuovo punto di vista. La sfida è proprio quella di dare una nuova anima, nuovi percorsi, nuove opportunità al museo, che non deve essere visto una volta da studenti, una da genitori per accompagnare i figli e una da nonni per spiegarlo ai nipoti, ma più volte, con la fidanzata a vedere "Il bacio", con i bimbi ad ammirare gli angeli e così via, sempre ricevendone impressioni e stimoli inediti. Persino con un tragitto tattile per gli ipovedenti."
La scelta quindi è quella di evitare le mostre dentro la galleria? Le celebri blockbuster ("campioni di incasso") di Hoving...
"Qualunque persona, durante una visita a un museo, si stanca dopo un centinaio di opere: dobbiamo ridurre e concentrare l'offerta. È troppo imporre ai non preparati 120 capolavori se non si è in grado di alimentare anche la cortesia e l'intelligence. Bisogna raccontare diversamente le opere, senza contrasti tra esperti e non, solo offrendo nuove prospettive a tutti, siano i commenti dei bambini o dei poeti, oppure quelli degli adolescenti o di altri invitati, come lo scrittore Roberto Piumini che, a Firenze, ha chiosato le opere ponendo delle domande. Sono attento alle statistiche, ma non voglio fare numeri gonfiati dalle presenze a mostre estranee al museo, che poi non alimentano le visite alla galleria."
Una scelta controcorrente, considerato che in Italia si fanno oltre 1000 mostre temporanee l'anno...
"Che però non fanno aumentare le visite ai musei. Anzi. Sono un modo per ingannare gli sponsor e i politici, e ne soffrono maggiormente le piccole istituzioni. Per tornare a Hoving, che realizzò il primo blockbuster dell'arte con la grande mostra dedicata alle opere di Firenze salvate dall'alluvione ma non ancora ricollocate negli edifici allagati che le contenevano, possiamo direche più che una bella mostra creò un mostro."
Lei vuole puntare sulle opere ma sta per prestare per oltre sei mesi la "Cena in Emmaus" di Caravaggio, certamente una delle più importanti di Brera...
"Non so se personalmente l'avrei fatto, però mi sono sentito in dovere di mantenere l'accordo già stipulato da chi mi ha preceduto. L'Italia è percepita nel mondo come un Paese non affidabile, perché si continuano a cambiare le decisioni già prese. È una debolezza che dobbiamo superare."
La Pinacoteca rimarrà aperta sabato 14 e domenica 15 gratuitamente per permettere a chiunque voglia un'ultima occhiata al capolavoro prima della lunga assenza, destinazione Caen (in cambio dello "Sposalizio della Vergine" del Perugino, in arrivo a marzo per un inedito confronto con il somigliante - ma le differenze sono epocali - quadro con lo stesso titolo di Raffaello, un'icona di Brera) e Tokyo (in cambio di euro sonanti).
Al posto della "Cena in Emmaus" - che rientrerà a giugno e non abbandonerà più Brera per almeno tre, quattro anni - sarà visibile una bellissima "Madonna dello svezzamento" di Orazio Gentileschi (ma qualcuno ha azzardato anche l'attribuzione al Caravaggio giovane), che affiancherà l'altro Gentileschi già presente in galleria.
Questa del confronto è una politica che lei ama...
"Sì, vogliamo dare a tutti i nostri capolavori la possibilità di un dialogo, di un confronto. È una delle chance che vogliamo mettere in campo per far riinnamorare Milano della sua collezione. Non daremo in giro capolavori, anzi li proporremo sotto una nuova illuminazione, nuove collocazioni, nuove rotazioni. E riscopriremo i depositi, come dimostra il Picasso che abbiamo appena terminato di restaurare, un magnifico pezzo di una scenografia, disponibile al pubblico da pochi giorni."
Con una nuova attenzione ai bisogni dei visitatori... pardon, dei fruitori...
"Il riferimento è sempre la piramide dei bisogni umani di Abraham Maslow. Prima ci sono quelli fisici, poi la sicurezza, poi quelli sociali di appartenenza e quelli individuali di autostima, infine c'è l'autorealizzazione. L'ordine va mantenuto anche in un museo per soddisfare il normale utente. Solo se ci sono un bell'allestimento, buone didascalie, un ambiente di qualità e che piace, si può arrivare all'epifania dell'arte. Ovvero ad apprezzare il quadro che fa cambiare la vita."
Qual è stato il quadro che ha cambiato la sua?
"Tantissimi, praticamente vivevo nella Royal Academy di Londra già a otto anni. Posso dirle l'ultimo che mi ha travolto: la "Visitazione" di Pontormo, di cui ho seguito i restauri che abbiamo commissionato per averlo in mostra a Palazzo Strozzi settimana per settimana."