Culture
Dopo la colorata e trasgressiva “L’italiana in Algeri”, il Rossini Opera Festival si avvia alla conclusione
È affidata alla “Messa per Rossini” la chiusura della 46esima edizione del ROF, al Teatro Rossini di Pesaro

L’Italiana in Algeri di Rosetta Cucchi è trasgressiva, colorata, moderna, frizzante e molto ironica. Si sorride dall’inizio alla fine dell’opera, specialmente nel secondo atto, quando la capacità della regista di adattare l’opera di Gioachino Rossini al tema attuale del rapporto tra uomo e donna, con un focus particolare sulla questione queer e transgender, si fa notare e apprezzare. Fedeltà al dramma giocoso per musica in due atti di Angelo Anelli – la prima rappresentazione avvenne a Venezia nel 1813 – e al contempo una ventata di satira contemporanea, che di certo Rossini non avrebbe saputo cogliere, ma gli spettatori di oggi sì. È stato infatti unanime il plauso del pubblico, che ha dato prova sia nella serata del 21 agosto che in quelle precedenti di aver molto apprezzato l’opera, tra applausi e commenti pieni di lodi.
Sul palco Giorgi Manoshvili nei panni di Mustafà, Vittoriana De Amicis in quelli di Elvira (sua moglie), Daniela Barcellona a interpretare un’insolita Isabella, Josh Lovell nelle vesti dello schiavo e promesso sposo di Isabella Lindoro, Misha Kiria in Taddeo. Voci superlative e un’abilità eccelsa nell’interpretazione dei personaggi, che sono state accompagnate egregiamente dal Coro del Teatro Ventidio Basso sotto la guida del maestro Pasquale Veleno e dall’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna. Da menzionare per la creatività e l’originalità le scene di Tiziano Santi, i costumi di Claudia Pernigotti, le luci di Daniele Naldi e infine Nicolás Boni in qualità di video designer.

Crediti: Amati Bacciardi
Anche quest’anno l’estate pesarese si è fatta quindi palcoscenico internazionale accogliendo il Rossini Opera Festival, celebrazione somma del genio operistico che da oltre quarant’anni omaggia l’inesauribile inventiva del compositore marchigiano. Tra i titoli scelti per l’edizione 2025, la versione inedita e dal forte impatto visivo de L’italiana in Algeri è stata senza dubbio un delle più amate: un’opera buffa intrisa di ritmo serrato, travestimenti, malizia e irresistibile comicità. Originariamente concepita come una scanzonata girandola di malintesi e seduzioni, questa produzione viene riletta con taglio scenografico audace, trasportando il pubblico in un mondo esotico ma alienato, ironico ma anche disturbante.
Nel nuovo allestimento, la regia adotta un linguaggio cinematografico e grottesco, trasfigurando la consueta cornice orientale in un universo iperreale e geometrico. Gli stereotipi vengono rivoltati, la forza maschile ridicolizzata e la protagonista femminile eretta a vera artefice del proprio destino. Tutto concorre a svelare le maschere del potere, con una comicità amara che si fa specchio della contemporaneità. Lontano dai fasti decorativi della tradizione, questa Italiana si immerge in una dimensione quasi surreale, dove la regia disegna quadri dal forte impatto visivo, sospesi tra Fellini e Magritte, mentre la direzione musicale incalza l’azione senza cedimenti.

A chiudere il sipario sul ROF 2025 è invece la solenne esecuzione della Messa per Rossini, tributo commosso e monumentale alla memoria di Gianfranco Mariotti, ideatore instancabile del festival. Voluta da Verdi e affidata alla penna di tredici compositori italiani, l’opera è un mosaico di voci e colori sonori, concepito per incarnare lo spirito unitario dell’Italia post-unitaria; dopo anni di oblio, questa partitura è tornata a nuova vita solo nel tardo Novecento. L’esecuzione di Pesaro ne segna un apice simbolico, un congedo maestoso che si riverbera oltre la musica stessa.
Ma il ROF non è solo palcoscenico d’opera: è laboratorio di riscoperta, crocevia di ricerca e spettacolo. Proprio per questo, la cerimonia di consegna del 44° Premio Abbiati ha assunto valore emblematico. Il riconoscimento per il miglior spettacolo dell’anno è andato a Ermione, lettura scenico-musicale di straordinaria coerenza e forza drammatica, capace di coniugare rigore intellettuale e pathos, imponendosi come vertice dell’ultima stagione lirica italiana.
Non meno ambiziosa si è rivelata la nuova produzione di Zelmira, proposta d’apertura della manifestazione. L’allestimento, firmato dal regista visionario Calixto Bieito, immerge lo spettatore in un’esperienza a 360 gradi, abolendo la frontiera tra pubblico e scena. Ripescata nella versione viennese del 1822, l’opera ritorna dopo lunga assenza con un cast vocale di prim’ordine e una rilettura registica che scardina ogni convenzione, trasformando l’antico dramma in un rito collettivo, in cui l’azione deflagra da ogni angolo dello spazio teatrale.

Crediti: Amati Bacciardi
Altro gioiello riscoperto è il trittico delle Tre Cantate, che illumina le prime prove del compositore pesarese e ne rivela la precoce sensibilità drammatica. I tre brani – due giovanili e uno legato alla morte di Byron – vengono presentati in edizione critica, svelando l’intersezione tra la parola poetica e il suono che Rossini già sapeva maneggiare con sorprendente maturità. Un tuffo nella genesi di un genio, un laboratorio intimo prima della deflagrazione teatrale.
In questo caleidoscopio di eventi, il Rossini Opera Festival conferma la propria vocazione bifronte: da un lato, conservatore esigente di un patrimonio inestimabile; dall’altro, fucina di reinvenzione perpetua, capace di parlare al presente con linguaggi sempre rinnovati. Pesaro si fa così, ogni anno, capitale di un teatro che non smette di interrogarsi, di stupire, di commuovere. E di trasformare il passato in futuro.

Crediti: Amati Bacciardi