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Culture
Ferlinghetti: in mostra una vita "impegnata"
Lawrence Ferlinghetti e Allen Ginsberg

Di Raffaello Carabini

Bob Dylan ebbe a definirlo “il figlio prediletto di San Francisco”, anima del cosiddetto Rinascimento Poetico della città californiana e instancabile assertore di tematiche sociali, politiche ed ecologiche libertarie e avanzate. Ma in realtà le origini di Lawrence Ferlinghetti sono bresciane: nel 2005, quando scoprì e andò a vedere la casa dove nacque il padre nella città lombarda, chiamarono i vigili urbani, perché un “tipo strano che parla male l’italiano con un accento di non so dove si aggira per la strada”.

Quasi centenario è l’unico superstite della beat generation, che negli anni 50 e 60 cambiò il modo di fare poesia, di affrontare la realtà, di porsi in mezzo alle nuove generazioni. La “gioventù bruciata” statunitense, come i contemporanei angry young men inglesi oppure i nostri beatnicks, era ribelle, anticonformista, oscillava tra lo zen e l’esistenzialismo. I cantori principali furono Allen Ginsberg, il suo Urlo è una sorta di manifesto del movimento, Jack Kerouac, che portò tutti Sulla strada alla ricerca della propria identità, William Burroughs e il suo apocalittico Pasto nudo, Gregory Corso e appunto Ferlinghetti, la cui A Coney Island of the Mind del 1958 è una delle raccolte di poesie più vendute di sempre.

I loro reading (letture pubbliche) erano degli eventi, spesso accompagnati dal jazz, che con il bop si era affrancato dalle necessità commerciali e si avviava alla rivoluzione informale del free, musica frastagliata e improvvisata che le parole volevano rincorrere con percorsi imprevedibili, slanci, urla, caos. Non di rado affiancate dall’esposizione di quadri che seguivano il nuovo espressionismo astratto dettato da Jackson Pollock.

Ferlinghetti nel 1953 incontra per via Peter D. Martin, che sta guardando un negozio cadente: “voglio farne una libreria – dice lo sconosciuto – ho 500 dollari, crede basteranno?” Lawrence di slancio: “ne ho 500 anch’io, facciamo società!” Nasce così la libreria City Lights Bookstore (la prima a vendere solo tascabili), e poi – quando Martin gli cede la sua quota – casa editrice, che pubblicò le opere un po’ di tutti e divenne il fulcro del beat.

Ferlinghetti in prima persona si cimentò come autore, editore, pittore, grafico. Il suo stile lirico (ha scritto un solo romanzo, Her, accolto tiepidamente dalla critica, e una bella Autobiografia: “ho sognato che mi erano caduti tutti i denti ma la mia lingua sopravviveva per raccontare la storia. Perché io sono un distillatore di poesia. Sono una banca del canto”) si rifà al surrealismo francese anni 30, al nume americano Walt Whitman e al populismo, in un susseguirsi di lampi e invettive, di proteste e satire contro la guerra e la violenza, tese al sociale e all’ecologia.

La bella mostra A life: Lawrence Ferlinghetti. Beat Generation, ribellione, poesia ci racconta tutto questo e molto di più, nel Museo di Santa Giulia di Brescia fino al prossimo 14 gennaio. Con un allestimento firmato Fabrica, finalmente coinvolgente e aderente alla tematica, molto efficace senza essere invasivo, ci fa percorrere la vita del poeta da quando, poco più che ventenne, si arruola in marina come volontario, partecipando a episodi di guerra (lo sbarco in Normandia).

Dopo un periodo parigino, arriva a San Francisco iniziando la nuova stagione di ribellione e di reading, di scrittura e di pubblicazioni, che lo portano anche a essere processato (la sua assoluzione segnò in pratica la fine del maccartismo, la pratica illiberale dettata dall’ossessione anticomunista) e imprigionato (per le proteste contro la guerra in Vietnam). L’ultima parte del percorso è quella “italiana”, con l’arrivo da noi, le amicizie con Fernanda Pivano ed Ettore Sottsass, la ricerca delle origini.

Bellissime foto – firmate Sottsass, Capa, Keenan, Felver -, libri, registrazioni video e audio (tra cui un’aulica lettura radiofonica di Vittorio Gassman), documenti, dattiloscritti, disegni e dipinti concettuali di Ferlinghetti si susseguono, raffigurando a tutto tondo un fermento espressivo globale, i cui frutti ancora oggi distillano il succo della modernità e dell’impegno.

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