Piero della Francesca, un mito scoperto troppo tardi - Affaritaliani.it

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Piero della Francesca, un mito scoperto troppo tardi

di Raffaello Carabini

 

Piero della Francesca, grande artista fiorentino del XV secolo, privato della vista a 34 anni.” “L’ardua decifrazione di Piero: una fatica quasi inutile!” Non sono le parole di un disattento studente alle prime nozioni di storia dell’arte, bensì l’unica citazione in una serie di volumi dedicati ai “voyage en Italie” dall’erudito francese M. Valery (alias Antoine Claude Pasquin) e della stroncatura senza appello del tedesco Karl Friedrich von Rumohr, uno dei massimi critici dell’arte del periodo. Siamo nei primi decenni dell’800 e il maestro di Sansepolcro è un illustre sconosciuto o quasi. Tant’è che il sommo poeta Johann Wolfgang von Goethe, l’“inventore” del grand tour per immergersi nelle meraviglie del Rinascimento italiano, quando è costretto a fermarsi ad Arezzo per un guasto alla carrozza neppure sa che nella chiesa di san Francesco è conservato uno dei più affascinanti cicli di affreschi di ogni tempo: la “Storia della vera Croce” proprio di Piero.

In effetti il figlio del calzolaio e conciapelli Benedetto de’ Franceschi, nato attorno al 1410, allievo a Firenze di Domenico Veneziano, apprezzatissimo da Leon Battista Alberti, pittore per gli Este a Ferrara, i Malatesta a Rimini e i Montefeltro a Urbino, chiamato anche a Roma per rare commissioni, trascorse gli ultimi vent’anni nel paese natale, allora di rilievo regionale, dove morì il 12 ottobre 1492. Certamente tra i notabili locali, fu capo dei priori della confraternita di San Bartolomeo, e anche evasore fiscale (è nell’elenco dei morosi nel ‘71), Piero lasciò al fratello sopravvissutogli e ai nipoti “bonissime facultà e alcune case che egli stesso si aveva edificate”. Ma la sua fama segue il declino del borgo natio, così, dopo la citazione campanilistica dell’aretino Vasari e la definizione “monarcha de la pictura e architectura” dell’allievo e plagiario (nel trattato “De divina proportione” copia quasi alla lettera il “Libellus de quinque corporibus regularibus” di Piero) fra’ Luca Pacioli, praticamente scompare da quasi tutte le analisi storiche dell’arte italiana.

La riscoperta del genio della “suprema armonia del Creato”, la cui realtà visibile è sempre tutta riconducibile a un rigoroso ordine matematico e prospettico, e dell’“impegno splendidamente pittorico, anzi tonale, della luce” inizia lentamente a metà 800 e culmina con il generalizzato “ritorno all’ordine” dell’Europa post-Grande Guerra, quando il razionalismo e la pura pittura prendono il posto della “follia” delle avanguardie e dei simbolismi, anche tramite il recupero dell’uomo e della sua “classicità” in pose statiche e raccolte, il rilancio delle raffigurazioni storiche e il realismo magico di paesaggi immersi nel nulla della modernità.

Tutto questo, e anche molto di più, ci narra la magnifica mostra “Piero della Francesca. Indagine su un mito”, aperta ai Musei San Domenico di Forlì fino al prossimo 26 giugno e ricca di un importante catalogo dal significativo apparato critico. Sono oltre 250 le opere esposte, divise in tre grandi sezioni. Quella introduttiva propone “echi, copie, riproduzioni” delle opere del maestro, tra l’altro con i 13 disegni a ricalco dell’archeologo Austen Henry Layard, un magnifico vaso in maiolica di Gio Ponti e la “Spiaggia”, capolavoro di Massimo Campigli. Al primo piano il nucleo centrale, con quattro opere di Piero, le americane “Madonna con Bambino” di Newark, sua prima tavola nota e dipinta anche sul verso, e “Santa Apollonia” di Washington, la grandiosa “Pala della Misericordia”, prima commissione importante ricevuta nella sua città, e il “San Gerolamo” di Venezia, e una quarantina di capolavori – appena anteriori e appena posteriori – di Beato Angelico, Mantegna, Giambellino (il sublime “Cristo morto” di Rimini), Melozzo, Lippi, Palmezzano, Cossa e via dicendo. Infine, lunghissima la carrellata sulle influenze pierfrancescane da Degas a Balthus, passando per i macchiaioli, Lega e il suo capolavoro “Il canto di uno stornello” in particolare, e il puntinista Seurat, per i pittori del Ventennio fascista, Funi, Donghi e Guidi fanno un figurone, e l’incredibile ritratto di “Silvana Cenni” di Casorati, fino alla desolazione delle nature morte di Morandi e delle città deserte dell’americano Hopper.

 

 

“Piero della Francesca. Indagine su un mito”

Musei San Domenico, Forlì

Durata: fino al 26 giugno 2016

Infoline: tel. 119151134

Orari: da martedì a venerdì: 9.30-19; sabato, domenica, festivi: 9.30-20; lunedì chiuso; 28 marzo e 25 aprile apertura straordinaria

ultimo ingresso un’ora prima della chiusura

Ingresso: intero € 12; riduzioni varie fino a € 7; gruppi € 10; scuole € 5

Catalogo: edito da Silvana Editoriale

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