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Culture
"Memorie del conte di Gramont": ritrovarsi alle corti di Italia, Francia e Inghilterra

Siete amanti delle corti reali a cavallo tra il Sei e Settecento? Allora questo libro fa proprio per voi: è infatti attraverso gli occhi – e le goliardiche avventure – del conte di Gramont che possiamo aprire le porte dei palazzi e dei giardini in Italia, in Francia, in Inghilterra, deliziandoci degli intrighi amorosi o delle buffe scaramucce così tipiche dell’epoca.

La Tartaruga riporta in libreria, con la traduzione di Fausta Garavini, le “Memorie del conte di Gramont”, un diario scritto nel XVIII secolo, che al tempo ebbe un enorme successo. Dalla duchessa d’Orléans a Sofia di Hanover, le dame e i gentiluomini andavano pazzi per questo libercolo in cui erano raccontate le spassose vicissitudini di Gramont, descrivendo con sarcasmo la cornice stessa in cui i nobili vivevano, con tanto di riferimenti a luoghi e personaggi reali. Ma chi era il conte protagonista di queste memorie? Gramont era un libertino spregiudicato che, a quanto pare, tutti adoravano per lo spirito energico e l’ironia, per il fascino e il savoir faire. Tuttavia, non fu lui a scrivere i libri che tanto lo resero celebre tra i contemporanei e i posteri, bensì suo cognato Antony Hamilton, un inglese meno accattivante, ma assai più dotato quanto a talento narrativo. Così, è dall’incontro e dalla collaborazione di due individui fuori dalle righe che nacque questo originale scritto, a metà tra la biografia e il romanzo.

“Ne esce il ritratto di un lestofante senza scrupoli i cui titoli risiedono nella conoscenza delle armi, dell’amore, delle carte e dei dadi, che passa il suo tempo nei salotti, al tavolo da gioco e nelle alcove più che sul campo: insomma il contrario dell’ideale dell’honnête homme, del gentiluomo di esemplare probità quale si configura sotto la penna dei moralisti classici”. Questa breve descrizione del conte di Gramont, che troviamo nella prefazione al libro, sintetizza alla perfezione l’intero contenuto delle memorie e ci dà quindi una chiara anticipazione di ciò che ci aspetta al loro interno.

Andiamo con ordine. Lo scritto si suddivide in undici parti, ciascuna introdotta da un titoletto riassuntivo. Nelle prime pagine seguiamo il conte in battaglia, durante l’assedio di Trino, ma ci è chiaro sin da subito che l’interesse dell’autore è più volto ai momenti ludici che non al combattimento vero e proprio, anche tenendo conto della natura del nostro eroe.

La corte italiana, a Torino, è la prima ad accoglierlo a braccia aperte: già qui Gramont non può esimersi dal mettere in piedi un complicato gioco amoroso tra due belle giovani della corte, lui stesso e il suo amico Matta; tuttavia, ciò che ne salterà fuori sarà l’opposto di quanto ci si potrebbe aspettare dalle premesse. Dall’Italia il viaggio prosegue in Francia, su cui si ipotizza che Hamilton abbia scritto molto più di quanto oggi è in nostro possesso. Ancora una volta, però, l’amato e odiato Gramont riuscì a mettersi nei guai flirtando con l’amante di Luigi XIII. La conseguenza fu l’esilio in Inghilterra e la sparizione di una buona parte del manoscritto.

La corte di Carlo II è l’ambientazione che ci accompagna per il resto del libro. Qui il talento di Gramont per stringere amicizie, barare al gioco, sedurre innocenti fanciulle e brillare tra la nobiltà inglese raggiunge il suo apice, cosicché ci si diverte non poco a seguirne le terribili astuzie. D’altra parte, ampio spazio viene dato anche al contesto in cui il conte si trova ad agire, soffermandosi sui tanti personaggi – maschili e femminili – che popolano la corte d’Inghilterra in quell’epoca. Insomma, un vero e proprio spaccato di vita vera nel Sei-Settecento.

Ciò che più è emozionante nella natura di queste memorie è, a mio parere, la possibilità di leggere qualcosa che vide la sua nascita molti secoli addietro e passò dalle mani di nobili, intellettuali, cortigiani dell’epoca. Oggi come allora ci ritroviamo catapultati nel mondo incantato – ma non certo perfetto – dei re e delle regine più celebri della storia, non già attraverso la rivisitazione di uno scrittore contemporaneo, bensì grazie agli occhi e alla penna di qualcuno che era là, a vivere quell’era straordinaria in prima persona. È soprattutto per questo motivo che ne consigliamo la lettura: al di là della veridicità o meno dei fatti, spesso alterata, è raro poter scorrere pagine pubblicate per la prima volta nel 1713 e poi riapparse in una graziosa edizione moderna, unendo così il fascino dell’antico al gusto minimalista del presente.  

Per maggiori informazioni: www.lanavediteseo.eu.

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