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Culture
Vittorio Sgarbi, ultimo saluto al padre. Tra una settimana la mostra a Ferrara

di Andrea Cianferoni

Se n’è andato pochi giorni prima della pubblicazione del suo ultimo libro, "Il canale di cuori" che uscirà l'8 febbraio, purtroppo postumo, edito dalla casa editrice La Nave di Teseo della figlia Elisabetta. Ma soprattutto se n’è andato a pochi giorni dall’inaugurazione della grande mostra “La collezione Cavallini Sgarbi. Da Niccolò dell’Arca a Gaetano Previati. Tesori d’arte per Ferrarache sabato Sabato 3 febbraio apre al pubblico nel Castello Estense di Ferrara. La collezione Cavallini Sgarbi comprende ben 130 opere tra dipinti e sculture, dall’inizio del Quattrocento alla metà del Novecento, raccolte in circa quaranta anni di appassionato collezionismo dalla famiglia Cavallini e Sgarbi. Una triste notizia per il mondo della cultura, la scomparsa di Giuseppe “Nino” Sgarbi, padre dei celebri fratelli Vittorio ed Elisabetta, e sposo per una vita di Caterina “Rina” Cavallini, sorella del professor Bruno Cavallini, che tanto ha contribuito alla formazione intellettuale del grande critico. Elisabetta Sgarbi ha voluto che questa mostra raccontasse, nel luogo più rappresentativo della città di Ferrara, non solo la storia di una straordinaria impresa culturale, ma anche quella di una famiglia ferrarese che all’arte ha dedicato tutte le proprie energie. La passione del collezionismo di Vittorio Sgarbi inizia alla fine degli anni 70 attraverso la raccolta di migliaia di volumi, databili dal 1503 al 1898. Il critico d’arte, da quel momento, capisce “che collezionare quadri e sculture poteva essere più divertente che possedere il libro più raro”. Quest’illuminazione scaturisce dall’incontro con Mario Lanfranchi, collezionista e maestro perfetto, il primo dei tanti da lui incontrati dopo aver abbandonato il dogma universitario che lo aveva indotto a “guardare le opere d’arte come beni spiritualmente universali, ma materialmente indisponibili”. Così, dal 1984, incrociando il San Domenico di Niccolò dell’Arca, Sgarbi decide che non avrebbe “più acquistato ciò che era possibile trovare, di cui si poteva presumere l’esistenza, ma soltanto ciò di cui non si conosceva l’esistenza, per sua natura introvabile, anzi incercabile”. Come lui stesso afferma “la caccia ai quadri non ha regole, non ha obiettivi, non ha approdi, è imprevedibile. Non si trova quello che si cerca, si cerca quello che si trova. Talvolta molto oltre il desiderio e le aspettative”. Da collezionismo “rapsodico, originale, che ambisce a rapporti esclusivi con le opere come persone viventi”, è sorta, incontro dopo incontro, una vera e propria sintesi dell’arte italiana, tra pittura e scultura, dal XV secolo ai giorni nostri, che riflette la cultura ampia e multiforme del collezionista.  

La mostra si apre con un capolavoro del Rinascimento italiano, il San Domenico in terracotta modellato nel 1474 da Niccolò dell’Arca e collocato in origine sopra la porta “della vestiaria” nel convento della chiesa di San Domenico a Bologna, dove tra il 1469 e il 1473 l’artista attese all’Arca del santo da cui deriva il suo pseudonimo. Il destino poi porterà Vittorio Sgarbi a incrociare un altro capolavoro di Niccolò dell'Arca, l'Aquila, modello per il San Giovanni evangelista della chiesa di San Giovanni in Monte, databile verso il 1478. Le due sculture di Niccolò apparvero in coincidenza con la scomparsa delle persone a lui più care: lo zio Bruno Cavallini, nel 1984, la madre Rina, nel 2015. Nella sua caccia seguono i capitelli in marmo policromo di Domenico Gagini, scolpiti nel 1484 per la chiesa dei Santi Apostoli, le terrecotte di Matteo Civitali e Agostino de Fundulis, e una straordinaria raccolta di preziosi dipinti, perlopiù su tavola, eseguiti tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento: ai pittori nati o attivi a Ferrara – Antonio Cicognara, Giovanni Battista Benvenuti detto l’Ortolano, Nicolò Pisano, Benvenuto Tisi detto il Garofalo– si affiancano autori rari come Liberale da Verona, Jacopo da Valenza, Antonio da Crevalcore, Giovanni Agostino da Lodi, Nicola Filotesio detto Cola dell’Amatrice, Johannes Hispanus, Bernardino da Tossignano, Francesco Zaganelli, Bartolomeo di David, Lambert Sustris.

Il focus sulla “scuola ferrarese” prosegue agli inizi del XVII secolo con i dipinti, di documentata provenienza, di Sebastiano Filippi detto il Bastianino, Gaspare Venturini, Ippolito Scarsella detto lo Scarsellino, Camillo Ricci, Giuseppe Caletti e Carlo Bononi. Contestualmente si potranno ammirare riconosciuti capolavori della pittura italiana del Seicento, tra i quali conviene citare almeno la Cleopatra di Artemisia Gentileschi, la Maddalena assistita dagli angeli di Pier Francesco Mazzucchelli detto il Morazzone, il San Girolamo di Jusepe Ribera, la Vita umana di Guido Cagnacci e il Ritratto di Francesco Righetti di Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino.  Altrettanto avvincente è il percorso tra dipinti “da stanza” di tema sacro, allegorico e mitologico del Sei e del Settecento: una selezione di sorprendente varietà, e di alta qualità, che riflette gli interessi sconfinati e la frenesia di ricerca del collezionista, con maestri della scuola veneta (Marcantonio Bassetti, Pietro Damini, Pietro Vecchia, Johann Carl Loth, Giovanni Antonio Fumiani), emiliana (Simone Cantarini, Matteo Loves, Marcantonio Franceschini, Ignaz Stern detto Ignazio Stella), lombarda (Paolo Pagani, Agostino Santagostino), romana (Giuseppe Cesari detto il Cavalier d’Arpino, Angelo Caroselli,  Pseudo Caroselli, Giusto Fiammingo, Antonio Cavallucci), toscana (Giacinto Gimignani, Livio Mehus, Alessandro Rosi, Pietro Paolini, Giovanni Domenico Lombardi). A salutare Giuseppe Sgarbi, insieme agli amici più stretti del critico d’arte, nella chiesa di San Gregorio Magno a Ferrara, c’era oggi anche la cugina Eleonora Cavallini, docente di greco antico al Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Bologna, sede di Ravenna, figlia del professor Bruno Cavallini, la persona che più di ogni altra ha contribuito alla formazione intellettuale del critico d’arte. Professoressa Cavallini, suo cugino Vittorio ha sempre ricordato la figura di Bruno Cavallini, prematuramente scomparso. Che persona era suo padre?  Si, è vero, Vittorio ha sempre ribadito che, forse più del padre Giuseppe, a cui stiamo adesso dando l’ultimo saluto, gran parte della sua conoscenza deriva dai suggerimenti impartiti da mio padre Bruno, docente di italiano e latino e preside dei Licei classici “Omero” e “Beccaria” di Milano. Morì improvvisamente a Milano il  1 aprile 1984, e ancora oggi mi ricordo la corsa in Mini da Ferrara per raggiungerlo in ospedale. Devo dire che mia zia Rina, mi è stata molto vicina in quel momento.

Per voi della famiglia, questa grande mostra rappresenta un momento di riavvicinamento a FerraraQuesta mostra è anche un omaggio a questa città, che non abbiamo mai dimenticato, pur avendo, noi più giovani della famiglia, intrapreso delle carriere che ci hanno allontanato. Rimane però l’attaccamento alle redici familiari, anche grazie al palazzo di famiglia, le cosi dette “Case Cavallini”, anticamente palazzo Ariosto, in via Giuoco del Pallone, di cui a me rimane una parte, mentre nella porzione di proprietà di mia cugina Elisabetta e Vittorio è stato ricavato un hotel. Si narra che, proprio in questo palazzo,  trascorse gran parte della sua vita Ludovico Ariosto il quale scrisse le satire, le commedie, le prime due edizioni del “Furioso”. In questo luogo ho trascorso la mia infanzia accanto a mio padre e mia madre, allieva di Roberto Longhi. Al piano sottostante c’era la nonna paterna, la madre di Bruno e Rina, cui Vittorio ed io eravamo affidati dai rispettivi genitori. Nonna Bianca era straordinaria, inventava fiabe bellissime per noi bambini.  

Che rapporto ha con suo cugino, non è forse troppo ingombrante come persona?

Direi ottimo, anche perché già nel 2013 sono stata insignita del premio culturale dedicato a mio padre, che si svolge nell’ottobre di ogni anno a Pordenone; in più, da quest’anno, Vittorio ha avuto la gentilezza di inserirmi nella giuria del premio, che nel corso di questi ultimi anni ha visto premiati le più alte personalità della cultura italiana ed internazionale.

 

 

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