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Culture
Zungri, il restauro della “Madonna della Neve”

di  Antonio Magliulo

 

Una folla commossa e plaudente e un crepitio di fuochi pirotecnici hanno accolto il 23 luglio scorso il quadro della Visitazione, più noto come“Madonna della Neve”, restituito alla città di Zungri, dopo un restauro durato quasi un anno.

A volere tale “recupero” sono stati il parroco del locale Santuario Mariano, don Giuseppe Larosa, il vescovo di Mileto e Tropea, mons. Luigi Renzo, e lo stesso sindaco, arch. Francesco Galati, persone sensibili e da sempre attente alle cose dell’arte. Anche i parrocchiani più affezionati, visto il degrado dell’opera, hanno ritenuto il recupero necessario ed improcrastinabile.

A svolgere il delicato compito è stata chiamata la dott.ssa Caterina Bagnato, restauratrice di origini sanconesi e direttrice del laboratorio Mattia Preti, di Taverna, in provincia di Catanzaro. Costei, grazie all’ indiscussa competenza, sta assumendo ormai notorietà anche a livello nazionale.

Il dipinto della “Madonna della Neve” (120 x 110, olio su tavola) di cui esistono nel mondo diverse raffigurazioni, è oggetto di un forte culto da parte dei fedeli e rappresenta, come mostra l’immagine qui pubblicata, un episodio di vita familiare, con la Madonna assisa, che sostiene il Bambinello intento ad accarezzare il viso del cuginetto S. Giovannino, posto di fronte e appoggiato sulle gambe di sua madre Elisabetta, ritratta in posizione genuflessa e quindi in evidente atteggiamento deferenziale. La scena, d’indubbia suggestione, evoca una tale spontaneità di gesti e sentimenti, da sfiorare la poesia.

Nella parte superiore del quadro, si nota una finestrella, attraverso la quale s’intravede uno scorcio paesistico: dei colli innevati e un ruscello; il riferimento iconico è quasi certamente il colle romano, ove sorge la Basilica di S. Maria Maggiore.

L’opera, dotata di un cromatismo sobrio ed elegante, presenta uno schema abbastanza consolidato nell’arte sacra, con dei personaggi raggruppati, dalle forme leggiadre.

In particolare, i lineamenti della Vergine appaiono acconci, fini e soavi. I rapporti posizionali dei personaggi e lo stile grafico-pittorico rimandano a un dipinto conservato al Louvre, La piccola sacra Famiglia, di matrice raffaellesca, per cui gli esperti ritengono che l’opera zungrese sia stata realizzata nel XVI secolo da allievi del grande Urbinate.

Qualcuno ipotizza che il finissimo disegno di base, emerso durante il recente restauro e evidenziato grazie a speciali radiografie, sia stato eseguito dallo stesso Raffaello.

Come accennato, il dipinto, prima del recupero, si presentava piuttosto malridotto, con una patina di polvere rappresa che ne offuscava l’originario nitore; le figure risultavano piatte, sfocate e decolorate (vedasi l’immagine relativa). Pure evidenti erano le fratture del supporto, composto da tre tavole lignee assemblate originariamente in senso longitudinale.

Il lavoro di recupero, eseguito in stretta intesa con la dott.ssa Daniela Vinci dell’Alta Sovrintendenza ai Beni Artistici e Storici di Vibo e Reggio Calabria, è risultato piuttosto impegnativo e ha richiesto professionalità, tempo e pazienza.

Esso si è svolto secondo i protocolli previsti per i restauri pittorici. La Bagnato ha redatto  dapprima un programma particolareggiato; quindi, messi in atto tutti gli accorgimenti necessari, ha provveduto a traslocare l’opera nel proprio laboratorio di Taverna; ha proceduto poi con i rilievi fotografici e radiografici,  prelevando dei campioni di pellicola pittorica; è passata poi alle fasi successive: riparazione del supporto ligneo, pulitura critica del dipinto e reintegrazione delle lacune morfo-cromatiche, quest’ultime in verità di ardua realizzazione, date le aree danneggiate o mancanti.

L’azione pulente è stata selettiva e conservativa, esercitata solo sulle sostanze estranee, ovvero sulle velature ossidative e sugli strati sovraggiunti di origine umana e biologica, ecc, ed ha badato a non lasciare residui dei solventi impiegati, che possono danneggiare i materiali originali.

Gli esami stratigrafici dell’opera, eseguiti preliminarmente, con la collaborazione della Emmebì di Roma, nelle persone di Marco Cardinali e Beatrice De Ruggeri, sono serviti a svelare il disegno preparatorio sottostante; mentre la campionatura materica e pigmentaria è servita a identificare le sostanze impiegate nei precedenti restauri, un’operazione indispensabile, in quanto alcuni interventi  sono risultati approssimativi e poco attenti alla “durabilità”, qualità fondamentale perché un componente possa resistere nel tempo.

La dottoressa Bagnato ha riscontrato pure una “sovrapposizione patologica”, non facente parte  cioè della natura originale dell’opera, l’operatrice in effetti ha trovato del gesso, una sostanza sovraggiunta estranea, che avrebbe potuto rivelarsi dannosa per la conservazione del dipinto.

Una volta eliminate le anomalie e completato il lavoro di reintegrazione,  si è rivolta alla ditta Bresciani per la realizzazione di un “clima-box”, ovvero una teca a tenuta stagna, in grado di preservare l’opera dagli agenti atmosferici, di mantenerla ad una temperatura e un’ umidità costanti, e monitorare “da remoto” eventuali variazioni fisico-chimiche interne, grazie a uno specifico programma computerizzato.

Il risultato finale è apparso addirittura entusiasmante. Tutti, autorità e fedeli convenuti in chiesa il giorno della riconsegna, hanno manifestato grande soddisfazione, perché il dipinto ha riacquistato il suo splendore e si presenta in un stato tale, da garantire stabilità conservativa per il futuro.

Il prof. Michele Zappino, già docente di scultura all’Accademia di Brera, presente alla cerimonia,  si è soffermato ad indicare alcuni dettagli della “sacra scena” e ha sottolineato come il restauro sia stato capace di riconferirle movimento e plasticità.

E tale, in definitiva, è anche la nostra personale impressione, in quanto la dottoressa Bagnato non si è limitata a ripulire l’opera ma, attraverso un lungo e meticoloso iter di studio e lavoro, le ha ridonato l’originaria vitalità, restituendola così non solo al culto e alla devozione dei zungresi, ma al patrimonio italiano della Pittura e dell’Arte.

 

 

 

 

 

 

 

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