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Economia
Amazon nel mirino Ue, nuovo fronte della guerra dei dazi?
Amazon

L’indagine ufficiale lanciata dall’Antitrust europeo sull’utilizzo da parte di Amazon dei dati sui clienti forniti dalle aziende che vendono prodotti e servizi attraverso il canale online del colosso di Seattle apre un nuovo fronte nella cosiddetta Guerra dei Dazi tra Usa, Cina, Europa e altri paesi. Una guerra che viene chiamata dei dazi solo per comodità, ma che riguarda il primato tecnologico e commerciale tra le principali economie del pianeta e che investe ormai tutte le sfere dei rapporti economici e finanziari, compreso quello della competizione tra le diverse valute – dollaro, euro e yuan – che hanno ingaggiato una corsa alla svalutazioni competitive, come ha recentemente osservato un’analisi di PIMCO.

TRUMP ACCUSA LA COMMISSARIA VESTAGER DI ‘ODIARE’ L’AMERICA

Ed è una guerra che spesso mette il presidente americano Trump in posizioni scomode. L’inquilino della Casa Bianca in passato non si è stancato di accusare Margrethe Vestager, ancora titolare del portafoglio alla Concorrenza, il più importante della Commissione, e che ha aperto l’indagine su Amazon, di “odiare l’America”. Ora potrebbe essere costretto a prendere le difese proprio del gigante di Seattle fondato da Jeff Bezos, accusato più volte da Trump, sin dalla campagna elettorale del 2016, di non pagare le tasse in Usa, di tenersi all’estero i profitti miliardari e persino di attaccarlo strumentalmente con il Washington Post di sua proprietà. Non è la prima volta che l’Europa mette nel mirino i colossi high-tech americani, sin dai tempi in cui al posto della Vestager c’era l’Italiano Mario Monti. Ma da quando è iniziata la guerra dei dazi il conflitto ha segnato un’escalation, soprattutto su due fronti: quello delle tasse e quello della violazione delle regole della concorrenza.

COLOSSI HIGH-TECH SOTTO TORCHIO ANCHE DAVANTI AL CONGRESSO USA

Altro paradosso è il fatto che l’indagine europea è stata annunciata dalla Vestager proprio subito dopo che Amazon, insieme agli altri big come Facebook, Apple e Google (tra l’altro quest’ultimo accusato da Trump di essere “infiltrato” da spie cinesi) sono stati messi sotto torchio in una serie di audizioni davanti al Congresso degli Stati Uniti. Congresso che ha sollevato questioni simili a quelle di Bruxelles, come la manipolazione di algoritmi sulle proprie piattaforme per favorire i propri prodotti e servizi. In aggiunta, Facebook è finita sotto accusa, prima da parte di Trump e della Federal Reserve e poi del Senato americano, per il progetto della sua nuova valuta virtuale, Libra. In Europa invece, Google & Co sono finiti in passato nel mirino con l’accusa di pagare troppe poche tasse rispetto alle cifre enormi dei giri d’affari che realizzano nel vecchio continente, complici anche le agevolazioni e gli accordi ‘particolari’ con alcuni stati europei, come l’Irlanda e il Lussemburgo.

TOO BIG TO REGULATE, DAVIDE CONTRO GOLIA

Il problema della regolazione dei colossi digitali è immenso, non tanto e non solo per i numeri che mettono insieme in termini di miliardi di ricavi, ma soprattutto per la presenza capillare in ogni angolo del pianeta, con centinaia di stati tutti con legislazioni diverse in materia fiscale e regolatoria. Tanto da far coniare ad Andrea Collart, di Avisa Partners, l’espressione “too big to regulate”, come le banche “too big to fail” dei tempi di Lehman e della Grande Crisi. Il che rende il compito dei regolatori simile a quello di Davide contro Golia.

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