Economia
Armani, tra cessione e golden power. L'impero di re Giorgio e il radar del governo
La possibile mossa dell'esecutivo per salvaguardare l'italianità del marchio

Armani, scudo anti-francese del governo? Spunta il golden power
L'apertura del testamento di Giorgio Armani è stata una sorpresa per tutti. Nessuno conosceva così nel dettaglio, tranne naturalmente il diretto interessato, le sua volontà sulla successione. Si è scoperto infatti, che al momento della firma dal notaio, atto stipulato ad aprile, erano presenti solo lui e il suo insospettabile consulente, un banchiere 73enne sempre rimasto nell'ombra per tutti questi anni. Giorgio Armani prima di morire aveva pensato a tutto: passare la mano della sua grandissima impresa a griffe internazionali del lusso, almeno in parte, mantenendo così l’afflato della bellezza e dello stile. Lascia solo la scelta agli eredi: il 15% del capitale dovrà andare, entro 18 mesi, o a Luis Vuitton o l’Oreal o EssilorLuxottica.
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Ma la possibilità che l'impero di re Giorgio possa finire in mani straniere avrebbe fatto scattare l'allarme anche a Palazzo Chigi Il governo Meloni, infatti, - riportano Elle e Milano e Finanza - potrebbe inserirsi nella cessione sventolando il "golden power", cioè l’emissione di stringenti lacci per far continuare l’italianità dell’impero Armani. Si potrebbero imporre specifiche condizioni all’acquisto di partecipazioni o porre il veto all’adozione di delibere relative a operazioni straordinarie o di particolare rilevanza tali da compromettere gli interessi nazionali. Al momento comunque nessuna decisione ufficiale da parte del Governo. Armani inoltre ha inserito nel testamento la cessione di quote della Giorgio Armani spa tra il 30% e il 54,9% dal terzo anno dalla successione ed entro il quinto. In alternativa a questo, la cessione in Borsa entro l'ottavo anno.