Economia
Barbaresco, Mediobanca: aziende moda italiane molto liquide ma poco aggressive

Gabriele Barbaresco, Direttore Area Studi Mediobanca: le aziende italiane della moda hanno tanta liquidità, ma sono timide sul fronte acquisizioni all'estero
Barbaresco, Direttore Area Studi Mediobanca: aziende moda italiane molto liquide ma poco aggressive verso l'estero
Le aziende italiane della moda hanno tanta liquidità, ma sono poco aggressive per quanto riguarda la possibilità di utilizzarla per acquisizioni, specie all'estero; non si può però dire altrettanto per le aziende estere nei confronti delle nostre, visto che il 45% è in mano straniera. È l'analisi di Gabriele Barbaresco, Direttore Area Studi Mediobanca, che in questa intervista a Affari Italiani commenta alcuni dati salienti dell'indagine annuale sul Settore Moda (QUI l'infografica).
Le aziende italiane del settore moda sono meno redditizie di quelle francesi, ma più solide a livello finanziario e soprattutto più liquide (120% di liquidità sull’indebitamento contro il 51,2% delle francesi). Questo è un elemento positivo o un fatto che denota una bassa propensione al reinvestimento?
Quando guardiamo alle imprese manifatturiere la presenza di un cuscinetto di liquidità è un fattore ambivalente, ha in sé elementi positivi ma anche criticità. Questa liquidità enorme delle imprese della moda italiana, ccumulata grazie all'elevato cash flow, è evidentemente un fattore di stabilità, una dotazione e una leva su cui possono fare perno per affrontare il mercato e le sue criticità. Ma è anche vero che sono imprese produttive, e la presenza di una liquidità così alta è un fattore un po' atipico. Gli investimenti li fanno con le risorse interne e questo è positivo; il lato più problematico è che questa liquidità potrebbe essere proficuamente a auspicabilmente utilizzata per investire in acquisizioni di qualche azienda più piccola.
Questo dipende dalla tradizionale chiusura della Pmi italiana, affezionata al proprio marchio e poco incline a guardare al di fuori dei confini nazionali?
Ritrovo nelle imprese della moda i limiti che sono propri di tutta l'imprenditoria italiana: la timidezza nell'aprire il capitale, nel crescere per linee esterne. Nella mappatura da noi fatta di circa 150 operatori della moda italiana, poco meno della metà hanno già un assetto proprietario che fa capo a soggetti stranieri; il che denota il fatto che nel tempo si è stratificato un atteggiamento conservativo dei nostri imprenditori, mentre dall'estero si sono fatti avanti. Una situazione un po' asimmetrica, da un lato poca aggressività verso l'estero, dall'altro un'eccessiva accondiscendenza nel lasciare entrare gli stranieri nelle nostre aziende.
La vostra indagine annuale sottolinea, a livello globale, il primato dei cinesi tra i top spender globali nel settore dei beni di lusso per la persona.
I cinesi hanno raggiunto e ormai consolidato una posizione di maggioranza relativa, valgono circa il 30% sui 250 miliardi di euro del giro d'affari stimato. Più in generale, dall'Asia viene il 50%, dal mondo occidentale, Usa e Europa, circa il 40%, il resto è sparpagliato. Si stima che da qui al 2025 in Cina la middle class potenziale acquirente di questo settore sarà composta da 600 milioni di persone, anche in seguito allo spostamento di ampie fasce della popolazione dalle regioni agricole alle grandi città. C'è una dinamica vivace anche negli internet users, oggi circa 350 milioni cinesi sono shoppers online. Questo apre due canali di potenziale penetrazione: il presidio fisico degli store nelle zone a maggior tasso demografico, e l'ecommerce che consente di integrare il presidio fisico per catturare la popolazione periferica.
Non per niente proprio le vendite online sono quelle che crescono più in fretta...
La costante crescita degli acquirenti online, in Cina e non solo, offre ai grandi produttori della moda italiani, così come francesi, un canale importante, che ha un vantaggio: è leggero, non richiede una grossa immobilizzazione di capitale, e quindi è per sua natura funzionale a un obiettivo di razionalizzazione dei costi delle imprese della moda, che hanno una dinamica commerciale vivace ma negli ultimi anni hanno fatto registrare un'erosione dei margini; l'online permette una struttura dei costi asciutta e snella, una strategia commerciale leggera e funzionale.
L'indagine annuale sul Settore Moda: la fotografia a livello globale (dati Bain & C. Fondazione Altagamma)
Nel 2016 il giro d’affari mondiale dei beni di lusso per la persona si attesta a €250 mld, un dato leggermente in calo sul 2015 (-0,4%), ma in crescita sul 2012 (+17,9%). Positive le stime per il 2017 (+5% sul 2016).
I mercati principali restano le Americhe, seppur in flessione (-2,4%), e l’Europa, ciascuno con €83 mld, ma l’area più dinamica è il Giappone, con €23 mld e +15% rispetto al 2015.
Se la pelletteria si conferma il comparto predominante, con €75 mld (+2,7%), corre la cosmesi-profumeria che con un +6% raggiunge €53 mld. Soffrono invece l’abbigliamento (€58 mld e -3,3%) e la gioielleria (€55 mld e -5,2%).
L'indagine annuale sul Settore Moda: la fotografia in Italia
Nel 2016 il giro d’affari delle 146 Aziende Moda Italia (con fatturato > €100 mln) si attesta a €66,1 mld (+25,8% sul 2012 e +4,6% sul 2015), pari al 4% del PIL. Tra i settori si conferma predominante l’abbigliamento, seguito dalla pelletteria, ma il più dinamico è la gioielleria (55,7% sul 2012). Il fatturato estero, oltre a essere molto rilevante (64,4% del totale), è anche quello che è cresciuto maggiormente (+24,7%) sul 2012. Le Aziende Moda Italia manifattura (esclusa la distribuzione) hanno cumulato nel periodo 2012- 2016 quasi €15 mld di profitti netti, di cui €3,4 mld nel 2016 (best year), pur registrando una continua erosione dei margini industriali, con l’ebit margin che si attesta al 9,6% nel 2016, dal 10,9% del 2012. Non solo, si tratta di aziende con un’elevata solidità finanziaria, con i mezzi propri che superano di 3 volte l’indebitamento, e una liquidità di poco inferiore ai debiti finanziari (circa €9 mld, pari all’85% dei debiti finanziari).