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Economia
Con 4,5 mld ci si compra Bpm e Mps. Ma l'attivo vale 300, la metà di Intesa

Ci risiamo. Ora è la volta di un evento drammatico e inaspettato come l’epidemia di Coronavirus a mandare al tappeto i listini e in particolare le banche.  Prima fu la grande crisi del 2008 e in sequenza la doppia recessione italiana e la crisi dello spread del 2011. Per finire con la crisi derivata dagli aumenti di capitale per fronteggiare le perdite sulle sofferenze. 

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Con l’incubo della nuova epidemia per le banche è in arrivo la quarta ondata di crisi. In questi giorni di caduta delle Borse sono in particolare gli istituti di credito a pagare dazio. Il mercato li vende (oggi Mps, mentre si cerca la quadra per il rinnovo dei vertici, in ribasso del 5%, Banco Bpm giù del 4,3%, Ubi Banca del 3,7% e Intesa del 3,2%) intravedendo una nuova recessione dietro l’angolo provocata dagli impatti economici dell’epidemia. E per gli investitori la nuova recessione riproduce il copione nefasto delle altre crisi. 

Sofferenze che torneranno a crescere, dopo la grande pulizia fatta negli ultimi 3 anni, credito in picchiata, margine d’interesse rosicchiato di nuovo pesantemente su cui già grava il rinvio sine die della normalizzazione sulla politica monetaria da parte della Bce; meno ricavi e future nuove svalutazioni sulle sofferenze che si andranno a creare. Insomma, una nuova tempesta perfetta

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Basta del resto vedere il bollettino di guerra delle banche quotate. Solo BancoBpm, reduce da un piano industriale “pigro” ha lasciato sul campo dalla presentazione delle nuove strategie, il 3 marzo, quasi il 20% del suo valore e dal 20 febbraio il titolo ha perso il 36%. UniCredit è tornata alla soglia dei 10 euro dai 14 euro di sole 3 settimane fa. La stessa Ubi Banca che si era apprezzata in un colpo solo del 28%, il giorno dell’offerta di scambio di Intesa-Sanpaolo, si è già rimangiata tutto il rialzo. Lo stesso gruppo guidato da Carlo Messina è sceso a poco più di 2 euro dai 2,54 del giorno dell’offerta. Per non parlare del Credito Valtellinese caduto in 3 settimane da 94 centesimi a 57 centesimi. Un bagno di sangue collettivo. 

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Del resto, basta guardare l’indice bancario del Ftse che oggi vale 7.765 punti, pericolosamente vicino sia al punto di minimo della crisi del 2016 che a quello della crisi dello spread. E così il mercato vende a piene mani le banche prefigurando un’Italia di nuovo in recessione. 

IL DRAMMA DELLE BANCHE MEDIE

In questo movimento al ribasso, si acuiscono i problemi soprattutto delle cosiddette banche medie. Con le cadute di questi giorni ci sono titoli come BancoBpm che sono arrivati a capitalizzare solo 2,5 miliardi a fronte di un patrimonio netto che supera abbondantemente gli 11 miliardi. Anche Ubi che dovrebbe manifestare maggiore resistenza ai ribassi, vista l’offerta in corso di Intesa, oggi è tornata a valere poco più del 40% del suo capitale. Quanto a Creval, la Borsa, dopo i cali, la valuta non più del 30% del suo patrimonio netto. Bper vale oggi solo il 32% del capitale; peggio ancora va alla banca pubblica Mps che non va oltre il 22% del suo patrimonio. E anche il gigante UniCredit fatica con una valutazione di poco meno del 40%. Solo Intesa-Sanpaolo con Credem tengono in termini relativi. Ca' de Sass che era arrivata a valere oltre l’80% del suo capitale è scesa come rapporto tra market cap e patrimonio poco sotto il 70%. 

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I DUE BIG FANNO GARA A SE’

Cosa ci dicono questi numeri? Che tolta Intesa e in parte UniCredit, il plotone delle cosiddette banche medie italiane è tornato a valere numeri bassissimi sul suo valore di libro, quasi peggio delle crisi passate. 

CON 4,5 MILIARDI CI SI COMPRA INSIEME BANCOBPM E MPS

E fa impressione constatare che messe insieme BancoBpm E Mps capitalizzano solo poco meno di 4,5 miliardi a fronte di capitale cumulato di quasi 18 miliardi e di un attivo di bilancio complessivo di 300 miliardi che ne farebbero, se fuse, la terza grande banca del Paese. Con pochi spiccioli ci si compra tutto quello che sta sotto ai due big nazionali. Del resto tra i due grandi gruppi bancari del Paese, Intesa e UniCredit, e il resto del sistema c’è un abisso. Sia di valutazioni sia di redditività. Come se dietro alle due grandi banche ci fosse il deserto bancario. 

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IL DIVARIO DI REDDITIVITA’

Nel 2019 le prime otto banche hanno prodotto utili netti per oltre 8 miliardi. Peccato che solo Intesa e UniCredit ne abbiano fatti per 7,5 miliardi. Oltre il 90% dei profitti delle banche quotate più significative viene solo dai due campioni della categoria. Certo, l’anno scorso ha pesato l’ennesima perdita di Mps che ha inciso per 1 miliardo. Tolto Mps gli utili prodotti collettivamente da Ubi; BancoBpm; Bper; Credem e Creval sono ammontati a soli 1,5 miliardi.

Un po’ poco per rappresentare l’altra faccia del sistema bancario italiano. E tolto sia il BancoBpm che il Credem che hanno un Roe (un ritorno sul capital netto) che viaggia intorno al 7%, le altre banche annaspano con una redditività troppo bassa, spesso tra il 3 e il 4% che non copre certo il costo del capitale. Di fatto, distruggono valore. E non da ieri. Strutturalmente, sono banche che non si sono mai più riprese dalla crisi del 2008 sul piano della profittabilità, sempre inferiore al costo del capitale. Questo è di fatto il motivo del bassissimo valore che il mercato è disposto ad assegnargli. Il che pone più di un problema e spinge da tempo i regolatori e gli osservatori a porre il tema delle aggregazioni.

Lovaglio Creval
 

Troppe, troppo piccole e poco valorizzate. Non che le fusioni siano necessariamente la soluzione di tutti i mali. Spesso le fusioni non hanno il successo sperato e se unisci due malati, difficile che esca un nuovo soggetto sano. Ma di certo quei valori così compressi e frammentati dicono che c’è un’Italia bancaria tripartita e mal assortita. I due giganti del credito che fanno partita a sé e di fatto giocano in chiave europea. Le piccole popolari e le Bcc che assolvono al ruolo del localismo bancario e in mezzo però c’è quasi il deserto. Un vuoto che fa paura.

Un vuoto che, non appena la congiuntura economica tornerà a migliorare dopo che il Coronavirus avrà allentato la presa, potrebbe anche essere colmato, viste le esigue valutazioni della poco consistente schiera di banche medie, dalle insegne straniere dei grandi colossi europei. A cominciare dalle francesi Bnp Paribas e Crédit Agricole già presenti nel nostro Paese. 

Big player che, grazie a piattaforme tech più evolute, a maggiore efficienza e a minori oneri in termini di funding, guardano con interesse alle potenzialità del ricco risparmio tricolore. Specialmente nel Nord Italia. Il consolidamento nel Vecchio Continente è in atto e sul fronte domestico il campione nazionale Banca Intesa, che ha fischiato il calcio d'inizio nel risiko del credito europeo, ha già sparato le proprie cartucce. 

 

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