Economia
Da petrolio a fondi neri, tutti gli affari sospetti della famiglia Erdogan

Un filo rosso che unisce anni di accuse e sospetti finito ora tra le dita di un nemico nuovo e potente, la Russia di Vladimir Putin. Le denunce piovute da Mosca contro il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e la sua famiglia sono pesantissime ma non del tutto nuove. Nel mirino, oltre al 'sultano', erano già finiti più volte almeno due dei suoi quattro figli, Bilal e Sumeyye. Tutti trascinati nel guado da accuse di loschi traffici. Prima di quello legato al petrolio dell'Isis, il caso più clamoroso era stata la Tangentopoli del Bosforo esplosa nel dicembre 2013, in cui Bilal era uno degli indagati chiave. Il figlio maschio minore del presidente era sospettato di essersi appropriato di enormi somme di denaro - secondo la stampa, decine di milioni di dollari - per trasferirle all'estero per conto del padre.
All'epoca, in una presunta conversazione telefonica tra i due diffusa su Youtube, il giovane Erdogan prometteva che si sarebbe liberato dei soldi prima che i magistrati potessero trovarli. Ma l'intera inchiesta è caduta nel nulla dopo l'archiviazione dello scorso anno, anche se per tutte le opposizioni sarebbe stata insabbiata. Che Bilal avesse qualcosa da nascondere era stato suggerito ancora poche settimane fa dalla 'gola profonda' Fuat Avni, l'account Twitter che più volte ha anticipato le mosse del potere di Ankara. Alla vigilia del voto del primo novembre il suo ritorno in Italia, dove è iscritto a un dottorato alla Johns Hopkins University di Bologna, veniva descritto come una mossa per anticipare una temuta riapertura delle indagini a suo carico in caso di sconfitta elettorale.
Secondo Avni, con Bilal dalla Turchia sarebbero partiti anche "miliardi di dollari" diretti verso conti segreti in Svizzera. Pure queste, però, accuse mai provate. A mettere nel mirino i sospetti traffici della famiglia Erdogan sono anche le potenze straniere. Prima della Russia, nei mesi scorsi era stata rilanciata con insistenza dai media iraniani la tesi di un presunto ruolo della figlia Sumeyye - considerata la prediletta del presidente - nella gestione di un ospedale per jihadisti al confine turco-siriano. Ad accusarla di aver visitato e sostenuto una struttura nella provincia sudorientale di Sanliurfa, utilizzata per curare i miliziani dell'Isis feriti, era stata in forma anonima un'infermiera 34enne che ci lavorava. Un'accusa che ora, inevitabilmente, torna a sollevare dubbi sul vero ruolo della Turchia.
