Dazi e mercati, gli investitori non credono più a Trump. Ma ecco perché un ribasso sarebbe necessario - Affaritaliani.it

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Ultimo aggiornamento: 14:38

Dazi e mercati, gli investitori non credono più a Trump. Ma ecco perché un ribasso sarebbe necessario

I mercati ignorano i continui annunci di dazi da Washington, ma questa calma potrebbe non fermare Trump, lasciando all’economia il prezzo da pagare. Il commento di Alexis Bienvenu, Fund Manager di La Financière de L’Echiquier

di redazione economia

Caos politico, ordine di mercato: come gli investitori si adattano al tornado dei dazi

A Washington, dove si susseguono in modo spesso imprevedibile gli annunci di dazi sulle importazioni, il caos regna sovrano. Tra questi: i prodotti brasiliani saranno assoggettati a dazi del 50% a partire dal 1° agosto, nonostante gli Stati Uniti vantino un surplus commerciale con il Brasile. A conferma – qualora ce ne fosse ancora bisogno – del poco peso che riveste la razionalità economica nelle decisioni di Washington. Eppure, il mercato rimane imperturbabile. In un mese, al 10 luglio, le azioni americane hanno guadagnato oltre il 4%, quelle emergenti poco meno e quelle europee sono rimaste stabili.

Una prima possibile spiegazione è che il mercato non creda agli annunci sui dazi. L'esperienza dello scorso aprile con l'annuncio dei "dazi reciproci" ha dimostrato che persino le misure più enfatiche possono essere ritirate il giorno dopo o posticipate a data da destinarsi. Pertanto, in attesa che la ragione economica prevalga all'ultimissimo momento, gli investitori badano ormai poco alle dichiarazioni presidenziali.

Così, il mercato azionario brasiliano è arretrato di qualche punto percentuale soltanto a seguito dell'annuncio a sorpresa di dazi al 50% e rimane stabile su base mensile. Anche il mercato del rame statunitense, altrettanto minacciato da dazi al 50%, riflette attualmente una parte soltanto del sovraccosto locale dovuto a tali tasse.

Implicitamente, gli operatori di questo mercato non sembrano prevedere la piena applicazione dell’imposta. A dire il vero, una sua applicazione potrebbe sembrare controproducente, poiché colpirebbe di petto i consumi di rame importato negli Stati Uniti, vitali sotto molti aspetti. Il rame, infatti, non solo è indispensabile per la costruzione di automobili o di infrastrutture elettriche, ma lo è anche per la costruzione di data center informatici, il cuore della crescita americana.

Questa tassa ostacolerebbe quindi la produttività locale. Ma a Washington prevale il discorso sull'autonomia a lungo termine nel settore dei metalli industriali anche se ci vorranno anni, se non decenni, perché una miniera inizi a produrre. Nel frattempo, il fabbisogno è destinato a priori ad aumentare e ad allontanare ulteriormente la prospettiva dell'autonomia, che appare quindi illusoria. Un'altra spiegazione è che il mercato ha trovato i suoi riferimenti e si sta organizzando in questo caos, contando sulla capacità di adattamento delle imprese per riorganizzare gli approvvigionamenti o compensare i costi aggiuntivi.

Così, come i tornado sono delle strutture stazionarie che emergono dalle perturbazioni meteorologiche a condizione di ricevere energia termica e dissipare il disordine (chiamato in questo caso “entropia”), l'attuale mercato emergerebbe dal caos trumpiano alimentandosi con l’energia proveniente dai flussi in acquisto a Wall Street. Una struttura di questo tipo, chiamata “dissipativa”, può persistere finché riceve energia. In questa immagine certamente approssimativa, il vortice dei mercati potrebbe durare finché gli investitori e le imprese si mostreranno affamati di azioni, a maggior ragione con dei mercati in crescita.

Dal caos emergerebbe quindi un ordine. Lo svantaggio di questo fenomeno è che Wall Street, in rialzo, non arginerebbe più le giravolte dello Studio Ovale. Al contrario, dopo l'annuncio iniziale dei cosiddetti “dazi reciproci” il crollo del mercato, obbligazionario soprattutto, aveva sicuramente contribuito al voltafaccia del presidente che aveva finito per concedere, a distanza di pochi giorni, tempo per negoziare (oltre ad avere ammorbidito i toni).

Se ora il mercato non dovesse arretrare più in modo significativo di fronte all’annuncio di nuovi dazi, chi potrà moderare il presidente americano? Le organizzazioni internazionali non hanno alcun potere su di lui. I giudici federali americani, che hanno cercato di intervenire applicando la legge, hanno visto il loro potere limitato dalla Corte Suprema, anch'essa largamente schierata dalla parte dei Repubblicani.

Quanto alla Federal Reserve americana, ultimo baluardo dei mercati, rimane certamente indipendente nelle sue dichiarazioni, che hanno ampia risonanza. Oltre a non avere però alcun potere in materia di dazi, è bersagliata da continui tentativi di destabilizzazione da parte della Casa Bianca, che non ha nascosto che il prossimo presidente della Fed sarà fedele al discorso trumpiano. Nessuna potenza sembra quindi in grado oggi di contrastare il tornado trumpiano. Nessuna... tranne l'economia stessa. Se finisse per mostrarsi in netto deterioramento, come si può temere per via dell'aumento dei dazi, potrebbe agire come una forza di richiamo alla ragione economica. Ma questo processo non potrà svolgersi senza grande fragore. Così, un caos ne genererebbe un altro, ma in forma diversa, preferibile forse nel lungo periodo.

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