Deficit vicino al 3%, l'ex ministro Tria: "Il vero nodo è il debito. E il danno del Superbonus pesa ancora come un macigno" - Affaritaliani.it

Economia

Ultimo aggiornamento: 16:53

Deficit vicino al 3%, l'ex ministro Tria: "Il vero nodo è il debito. E il danno del Superbonus pesa ancora come un macigno"

Il miglioramento dei conti pubblici segna un passo avanti per l’Italia, ma resta la zavorra del debito e del Superbonus. L’intervista all’ex ministro dell’Economia Giovanni Tria

di Rosa Nasti

Legge di bilancio e deficit al 3%, parla l'ex ministro Tria: "Investitori attratti dalla stabilità, ma il Superbonus resta un problema"

Il deficit pubblico italiano è atteso in calo e, secondo le proiezioni del Rapporto di previsione – Autunno 2025 del Centro Studi di Confindustria "Investimenti per muovere l’Italia", dovrebbe scendere sotto la soglia del 3% del Pil già nel 2026. Ma dietro la cifra c’è solo un esercizio contabile o si intravede davvero una svolta nei conti pubblici?

Affaritaliani ne ha discusso con l’economista ed ex ministro dell’Economia Giovanni Tria, per capire se la manovra del governo Meloni, con la legge di Bilancio in arrivo, possa segnare l’inizio del risanamento e aprire la strada alla fuoriuscita dalla procedura di infrazione europea.

Il deficit pubblico italiano è atteso in calo. Siamo davvero di fronte a un risanamento dei conti pubblici?

Non è un fatto puramente tecnico. Ovviamente si è cercato di risparmiare durante l’anno, e quindi il deficit va sotto il 3%. Un vero risanamento? Certamente: è stato un progresso molto forte nella stabilizzazione della finanza pubblica, che è ciò che conta per le aspettative. Questo andamento fa scendere il rendimento dei titoli di Stato e, soprattutto, mostra al mondo e agli investitori, sia internazionali che italiani, che l’Italia è fiscalmente e finanziariamente più stabile. Questo è molto importante per attrarre investimenti.

Quindi si tratta di un progresso significativo, al di là del mero fatto contabile di andare sotto il 3%. È anche un fatto simbolico, oltre che un adempimento delle regole europee. Ciò che conta davvero è come ci si presenta di fronte ai mercati. È chiaro che, se il deficit è al 2,9% o al 3,2%, di per sé non cambia molto: ciò che conta è il segnale politico che si trasmette.

Il fatto di avere voluto accelerare è dovuto alla volontà di mostrare stabilità, nel senso che i conti pubblici italiani sono in sicurezza. In realtà lo sono sempre stati, ma ciò che conta è la fiducia e la percezione di quello che può accadere.

Il debito pubblico continua comunque a crescere. Quanto pesa questo dato rispetto al "successo" sul deficit?

L’Italia ha avuto un deficit primario positivo per pochi Paesi per oltre vent’anni, tranne poi nel periodo del Covid. Quindi, da questo punto di vista, non c’è mai stata una vera politica fiscale "allegra". Abbiamo un’eredità di debito pubblico accumulato nel secolo scorso, che è arrivato fino a questo secolo, raggiungendo il 120%, e in alcune fasi anche il 135%.

La questione è che, se si riesce entro l’anno a portare il deficit sotto il 3%, questo è positivo. Ciò che conta davvero è la legge di Bilancio che verrà approvata e la prospettiva che ne deriverà. Non si tratta di un trucco contabile. Del resto, io non sto facendo i conti in questo momento e mi fido che quanto scritto nel bilancio dello Stato sia corretto.

Uscire dalla procedura di infrazione significa davvero più libertà di spesa?

No, questo no. Le regole europee sono talmente particolari che, paradossalmente, nella fase in cui si è sotto procedura di infrazione il vincolo sulla spesa è meno stringente rispetto a quando se ne esce. Uscendo dalla procedura, infatti, entra in gioco il limite di crescita della spesa annuale, che deve essere stabilito nel Documento di Bilancio Strutturale.

Quanto pesa realmente il Superbonus sull’andamento della finanza pubblica e per quanti anni continuerà a condizionare i bilanci dello Stato?

Il Superbonus ha avuto un impatto molto forte, sia sul deficit che soprattutto sul debito. I conti sull’effettivo peso variano continuamente, ma parliamo di circa 200 miliardi: è stato un abisso. Anni fa l’ho definito un’azione di criminalità economica, perché si trattava di un provvedimento senza un meccanismo di limite all’indebitamento pubblico.

Non era un problema di stima: era impossibile prevedere quanto avrebbe inciso sul debito un provvedimento del genere. È chiaro che continuerà a pesare ancora per un periodo, ma fortunatamente, per ora, è stato bloccato da questo governo.

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