Quattrosoldi/ La crisi è finita, gli speculatori ko. Draghi è il vero Mr Euro

Altro che il ministro delle Finanze olandese Jeroen Dijsselbloem, attuale presidente dell'Eurogruppo: il vero e unico "mister Euro" è ancora lui, Mario Draghi, che dalla poltrona più alta della Banca centrale europea ha dapprima iniettato liquidità a più non posso con le due Ltro a 3 anni del dicembre 2011 e del febbraio 2012, poi ha "mostrato il bazooka" dando vita lo scorso ottobre al programma Omt, che prevede l'acquisto (peraltro "condizionato", ossia solo in cambio della preventiva accettazione di alcune condizioni) illimitato di titoli di stato di paesi di Eurolandia "virtuosi" (ossia ancora solvibili) ma in temporanea difficoltà, come sembrava a tutti poter essere Spagna (che però non ha ancora chiesto aiuto) ed eventualmente l'Italia.
Ogni medaglia ha il suo rovescio e molti investitori istituzionali si lamentano che questo interventismo di Draghi e dei suoi colleghi ai vertici della Federal Reserve, della Bank of Japan e della Bank of England abbia di fatto "drogato" i mercati fornendo sì un sostegno ai titoli di stato, ma di fatto alterando il rapporto rischio/rendimento. Detto in altre parole "comprando tempo" le banche centrali hanno aiutato i governi a spese degli investitori, su cui grava il rischio che procrastinando continuamente il "rischio mercato" i governi stessi siano meno incentivati a varare quelle necessarie, ma impopolari, riforme strutturali necessarie a mettere una volta per tutte in sicurezza le principali economie dell'Occidente, mantenendo più a lungo del necessario un debito pubblico elevato e in crescita.
La critica, condivisibile in linea di principio, si scontra però con la realtà, che è fatta contemporaneamente di una crisi banco-sovrana (legata al tentativo di ridurre parallelamente sia il debito privato, con un credit crunch, sia il debito pubblico, con una repressione fiscale) sia di una crisi economica che alimenta e viene al tempo stesso alimentata dalla suddetta crisi banco-sovrana. Una situazione in cui, come spiegano vanamente da mesi economisti come Mario Seminerio, è praticamente impossibile sperare di "riformare sotto le bombe" e occorrerebbe anzi, come iniziano a chiedere da più parti economisti e autorità di mercato, che al "fiscal compact" si affiancasse un "growth compact", altrimenti per paesi come l'Italia, che hanno uno stock di debito pubblico pregresso molto rilevante e superiore al 100% del Pil, l'unica strada per un risanamento sarà un percorso "alla giapponese" fatto di una pluridecennale deflazione che farà sì recuperare competitività al paese ma rischia di lasciarlo spogliato delle sue eccellenze.