Bilancio 2014/ L'economista Carnevale Maffè ad Affari: "L'Europa ha sprecato un altro anno per crescere"

Un 2014 che si era aperto con qualche speranza di un consolidamento della ripresa europea, ma che ha finito col certificare l’immobilismo del vecchio continente, incapace di ridare fiducia ad imprese e consumatori e sempre più esposto alle sirene dei movimenti politici anti-euro e anti-Unione Europea. Questa la sintesi dell’anno che va chiudendo emersa da un'intervista all’economista Carlo Alberto Carnevale Maffè, professore di Strategia e Imprenditorialità presso la Sda Bocconi oltre che professore a contratto di Strategia e Politica Aziendale dell’Università Bocconi, da anni specializzatosi nello studio delle strategie di innovazione tecnologica, della competitive intelligence e delle strategie non competitive e internazionali.
“Il 2014 è stato un anno perduto per l’Europa, che sta affondando in una frammentazione politica ed economica sempre maggiore, complice anche un’unione bancaria fatta male e la crescente perdita di fiducia dei cittadini europei nelle istituzioni comunitarie”. A pagare lo scotto maggiore sono stati i paesi del Sud Europa, ma anche la Francia, dove il sentimento antieuropeista si è trasformato da una posizione chiaramente minoritaria ad un tema mainstream capace di attrarre crescenti consensi, basti pensare “che l’unico partito politico tradizionale, in Europa, in grado di tornare ad attrarre voti e consensi è stato nell’ultimo anno la Lega Nord” grazie alle prese di posizioni contro l’euro e la Ue.
Ma il crescente malessere che gli europei, e gli Italiani, provano nei confronti della Ue è segno che il progetto originario di unione europea era sbagliato o che lo si è gestito male? Dal punto di vista italiano entrambi: “l’Italia non era pronta ad entrare nell’unione monetaria e nell’euro e volervi partecipare dall’inizio è stato una forzatura”. L’unione stessa, peraltro, è stata gestita in modo pessimo: “Gli stati del Sud Europa non hanno fatto le necessarie riforme, mentre la Germania ha agito opportunisticamente, trasferendo il rischio finanziario sulle proprie esportazioni alle banche centrali degli stati importatori”, in questo modo attuando uno scambio in cui l’utile privato (in Germania) faceva sorgere un rischio pubblico (negli stati del Sud Europa).