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Economia

Banchieri d’affari e business angel possono continuare a sognare: gli “unicorni” (startup il cui valore è già salito oltre il miliardo di dollari) continuano a raccogliere investimenti cospicui, l’ultimo in ordine temporale essendo stato quello di WeWork, che questa settimana ha raccolto senza difficoltà altri 300 milioni di dollari.  

Non solo: finora in pochi sembrano aver fretta di scendere dal treno in corsa, tanto è vero che se nel 2014 si erano registrate 32 exit (il momento in cui il finanziatore cede le proprie quote, attraverso lo sbarco sul listino o la vendita della startup a un altro fondo o azienda), queste sono poi calate nel 2015 (20) e nel 2016 (23) e da inizio anno si sono quasi arrestate, con solo 4 disinvestimenti tra cui le Ipo sul Nyse di Mulesot (che il giorno del debutto ha segnato +45% rispetto al prezzo di collocamento) e di Snap (holding di controllo di Snapchat, che si è “accontentata” di un +44% il primo giorno di quotazione).

Tutto questo è musica per le orecchie di Giovanni Tamburi e dei cugini Paolo e Cesare D’Amico (discendenti dell’armatore palermitano Giuseppe D’Amico) che col 7,495% e il 12,077% controllano l’investment company Tamburi Investment Partners (Tip) insieme a Francesco Angelini, nipote del fondatore del gruppo farmaceutico che porta il nome di famiglie, ma anche campione mondiale di bridge, che di TIp possiede l’11,202%. Tip infatti effettuato importanti investimenti in aziende sia quotate sia private, da Ferrari ad Amplifon, da Fca a Be, da Prysmian a Moncler piuttosto che Interpump, ma anche in Digital Magics, Dedalus, Azimut Benetti, Eataly, Furla, Octo, Roche Bobois o Talent Garden. E proprio Digital Magics e Talent Garden sono fortemente correlate al mondo delle startup.

La prima è infatti il business incubator fondato dal compianto Enrico Gasperini insieme a Alberto Fioravanti, Gabriele Ronchini e Bibop G. Gresta che ha finora investito in oltre 70 startup (tra cui la stessa Talent Garden), una sessantina delle quali tuttora in portafoglio, nove delle quali già fatturano oltre il milione di euro l’anno. La seconda è già arrivata ad essere il primo network di coworking digitale in Europa, con 19 campus già attivi (di cui 15 in Italia e 4 in altri paesi europei) e più di 1.500 talenti al lavoro, ma anche oltre 10 master e corsi di formazione già attivati con più di 250 persone formate finora.

Quelli di Tip, che si tratti di grandi società e marchi celebri in tutto il mondo (l’ultimo in ordine temporale è quello da 120 milioni di euro per il 32,67% di Alpitour), o di promettenti startup ancora poco conosciute se non agli addetti ai lavori, si sono rivelati investimenti molto profittevoli, anche per i piccoli azionisti che hanno scommesso sul titolo Tip, che ai prezzi attuali di 4,63 euro per azione registra un robusto +224% rispetto alle quotazioni di 5 anni or sono, pari in media ad un incremento di quasi il 45% all’anno.  

Nel corso di questi anni, poi, Giovanni Tamburi, classe 1954, già direttore generale di Euromobiliare, ha saputo costruirsi la fama di vero e proprio “talent scout” di matricole di borsa (come Prysmian o Moncler) o aspiranti tali (Octo e Furla in primis, ma tra il 2018 e il 2019 potrebbero sbarcare sul listino anche Eataly, Roche Bobois e iGuzzini), inventandosi un modo alternativo per riuscire ad “andare a leva” in un mercato in cui le banche non concedono più maxi finanziamenti e le scalate “a debito” (il leveraged buy out di moda negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso) sono ormai una rarità.

Tamburi ha infatti portato sul mercato italiano la tecnica dei “club deal”: per ogni investimento il banchiere d’affari chiede a un nucleo di investitori amici come i D’Amico, i Lavazza, gli Angelini, i Lunelli, i Ferrero (imprenditori piemontesi attivi nel settore della siderurgia, da non confondere con gli omonimi imprenditori piemontesi attivi nel settore alimentare), piuttosto che Enzo Ricci o Valerio Battista, di puntare una “chip” per poter effettuare l’investimento tramite un veicolo finanziario creato ad hoc.

Nel caso di Eataly, ad esempio, venne costituita Clubitaly, nel cui azionariato figurano tra gli altri (oltre a Tip) gli Angelini, i D’amico i Ferrero, ma anche Luigi Lavazza, i Lunelli, i Marzotto, il conte Niccolò Branca, le famiglie Miciano-Domenichini e Valerio Battista (Ceo di Prysmian). Per Alpitour invece è stata utilizzata Asset Italia, veicolo in grado di investire fino a 550 milioni di euro in cui oltre a Tip erano entrate 30 grandi famiglie imprenditoriali italiane come i D’Amico e i Ferrero, mentre per iGuzzini è stato usato Tipo, che ha coinvolto 40 famiglie tra cui gli onnipresenti Ferrero, Angelini e D’Amico, ma anche i Marzotto, i Loro Piana, Remo Ruffini (Moncler) e Oscar Farinetti (Eataly).

In tutto dal 2002 ad oggi gli investimenti realizzati da Tip, comprendendo anche quelli effettuati tramite i club deal sopra ricordati, hanno superato, al costo storico, gli 1,8 miliardi, di cui 644 milioni ancora in essere alla fine dello scorso anno, quando il patrimonio netto di Tip era arrivato a valere 437 milioni di euro e l’utile netto ha toccato 86,1 milioni di euro. Negli 11 anni trascorsi dal debutto in borsa di Tip, sono stati distribuiti gratuitamente agli azionisti 15 milioni di euro in azioni di risparmio, oltre 20 milioni di euro di warrant 2010-2015 ed altrettanti di warrant 2015-2020, sono stati riacquistati titoli di risparmio per 31 milioni di euro e distribuiti 68 milioni di euro di dividendi. Se non è questo un esempio di unicorno italiano, poco ci manca.

 

 

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