Economia
Il piano di Mps: evitare l’ingorgo delle elezioni e guadagnare tempo

Obiettivo dell’amministratore delegato (e del Tesoro che è il primo azionista) è evitare che il Monte sia argomento elettorale come successo con le suppletive
Mps, il piano industriale guarda (solo) al futuro
C’è un grande assente nel piano industriale di Mps: è il presente. Si parla di futuro, si guarda al 2026, si aspetta il coinvolgimento di nuovi soggetti. Eppure, nel frattempo, mentre si annunciano 4.000 esuberi su base volontaria, possibilmente da completare entro l’anno, ci si dimentica della contingenza, di come il bilancio del primo trimestre 2022 si sia chiuso con ricavi in calo di oltre il 7% a 789 milioni. Ci si scorda che oggi il Monte vale in Borsa poco più di 665 milioni e le azioni sono in calo di quasi il 3% dopo un iniziale, tiepido apprezzamento del piano da parte dei mercati. Il sospetto che viene sempre più forte è che si voglia evitare quanto successo con le elezioni suppletive dello scorso anno: cioè che Babbo Monte entri direttamente nella campagna elettorale che porterà alle politiche 2023. Dunque, un piano politico per estromettere la politica. Non si vuole che, ancora una volta, si possa usare, in maniera strumentale, la banca più antica del mondo (quest’anno compie 550 anni) per indirizzare l’esito delle consultazioni. E dunque si sceglie la via migliore: si lancia la palla in tribuna, si fa in modo di comprare tempo con gli elettori e con l’Europa. “Ora tutta la politica stia al fianco delle lavoratrici e dei lavoratori, dei territori, dei clienti e della banca” non a caso dice ad Affaritaliani, il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni.
Eppure, sembrano tutti soddisfatti dopo la presentazione del piano industriale di Monte dei Paschi di Siena. È contento, soprattutto, l’amministratore delegato Luigi Lovaglio. Il quale, uscito dal Credito Valtellinese passato nel frattempo ai francesi di Crédit Agricole, ha dovuto gestire la patata bollente di Babbo Monte e della sua continua necessità di nuove “iniezioni”. Il Tesoro ha già dato disponibilità a versare altri 1,6 miliardi, ma ne rimangono 900 milioni che andranno trovati sul mercato. Qualcuno disposto a mettere, pro quota, il 50% della capitalizzazione. Lovaglio ostenta ottimismo (“non ci sarà un piano B” ha dichiarato agli analisti) ed è convinto che riuscirà a convincere gli investitori, mentre all’Italia spetterà il durissimo compito di chiedere all’Ue di dare ancora tempo. Quanto? Si vedrà. Lovaglio poi sgombra il campo dal possibile interesse di Crédit Agricole: “Non mi risulta nulla” ha smentito seccamente il ceo, forse temendo di ritrovarsi un’altra volta a dover trattare con la “banque verte”.
Non è un mistero, tra l’altro, che la gestione di Mps da parte della politica abbia rappresentato motivo di grande imbarazzo per il Pd, con Enrico Letta che ha sì vinto le suppletive dell’ottobre scorso, ma ha dovuto difendersi costantemente dagli attacchi degli altri avversari che avevano usato il Monte come ariete per criticare il Partito. E nessuno vuole una campagna elettorale, con il periodo storico che stiamo vivendo, improntata alle scaramucce su Mps. Questo è il mandato che è stato affidato a Lovaglio e il manager l’ha capito bene. Prova ne sia che anche il sindaco di Siena, Luigi De Mossi, ha applaudito al piano. D’altronde, la città del Palio “vive” ancora grazie a Rocca Salimbeni: su poco più di 20mila dipendenti, oltre 2.500 sono in città. Il ritorno ai dividendi è previsto dal 2025. Insomma, il futuro conta molto più del presente. E i motivi non sono difficili da comprendere.