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Economia

Mercati azionari sempre più ballerini, complici i timori di una crescita inferiore alle attese rinfocolati anche dalle ultime previsioni della Commissione Ue che per l’area dell’euro parla ora di un Pil in rialzo dell’1,7% nel 2016 contro il +1,8% previsto ancora tre mesi fa e di un’inflazione che non dovrebbe andare oltre lo 0,5% nonostante gli sforzi della Bce, che peraltro non ha mai parlato di “forze che congiurano” per tenere i prezzi bassi, ma elencato “fattori che contribuiscono” a tale fenomeno. Tra la Cina che si trova nel bel mezzo di una transizione da un modello di crescita guidato dalle esportazioni ad uno che vorrebbe basarsi maggiormente sulla domanda interna, gli Stati Uniti che dopo sette anni di Pil al rialzo rischiano di iniziare a decelerare, con l’Europa e il Giappone che continuano ad offrire più sorprese negative che positive, di crescita esuberante se ne vedrà poca, anche se il Fondo monetario internazionale continua a dire che nel 2016 l’economia mondiale crescerà più che nel 2015.

Questo dovrebbe consentire ai bond di non perdere terreno troppo rapidamente, anche perché è vero che la Federal Reserve non cambierà facilmente idea sulla necessità di rialzare i tassi, ma visti gli ultimi segnali che parlano di un mercato del lavoro meno esuberante è verosimile che proceda con più cautela. Goldman Sachs se n’è già accorta e ha ridotto da quattro a tre i rialzi da un quarto di punto che si attende entro fine dell’anno. Il mondo dei bond può dunque offrire ancora delle occasioni d’impiego remunerativo? La risposta pare positiva anche se molto dipenderà dall’azione delle singole banche centrali sui tassi e dall’andamento delle diverse valute. Riassumendo: la Federal Reserve alzerà i tassi tra mezzo punto e tre quarti di punto nel corso dell’anno, cosa che farà traslare la parte lunga della curva dei tassi verso l’alto inducendo un calo delle quotazioni dei T-bond. Di quanto? Dipenderà dalla duration delle singole emissioni, ma mediamente un decennale perde circa il 6% per ogni rialzo dei tassi dell’1%.

Goldman Sachs prevede al momento proprio che i rendimenti dei T-bond a dieci anni a fine 2016 possano salire attorno al 3%, contro il 2% scarso attorno a cui oscillano oggi, il che equivarrebbe al rischio di perdere un 6%-6,5%. Visto che l’euro, secondo Nomura, potrebbe scivolare già entro metà anno alla parità col dollaro, perdendo dunque l’11% circa rispetto ai valori attuali, il gioco può valere la candela. Rimanendo su scadenze non superiori ai 5 anni, o scegliendo di investire tramite un fondo obbligazionario in dollari, si potrebbero ottenere discreti ritorni a fronte di rischi contenuti.

Per chi voglia andare oltre l’ottica di un parcheggio remunerato per il proprio capitale, è il caso di provare a investire in obbligazioni societarie ad alto rendimento (bond “high yield”)? Evitando del tutto l’ipotesi di investire in emissioni subordinate, nell’occhio del ciclone dopo la vicenda delle quattro banche italiane “risolte”, si potrebbe essere tentati dal selezionare, con prudenza, qualche emissione di gruppi industriali e bancari comunque solidi. Non è però un’operazione da considerare a cuor leggero. Come spiega David Horsfall, vice-Chief Investment Officer di Standish Mellon Asset Management (gruppo Bny Mellon), “le implicazioni negative del calo dei prezzi del petrolio hanno danneggiato il settore dei bond high yield”. I rendimenti di questo segmento sono infatti “direttamente correlati con l’andamento del greggio, consigliando prudenza negli investimenti perché i default sono probabilmente destinati a salire”. Secondo il gestore “è improbabile che gli spread sulle obbligazioni a più alto rischio diminuiscano sinché i prezzi delle materie prime non si stabilizzeranno o i default inizieranno a verificarsi”.

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