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Economia
Meno prodotto nella confezione, stesso prezzo: faro Antitrust su shrinkflation

L'autorità monitora sui rischi di pratiche commerciali scorrette ai danni dei consumatori

L'Antitrust accende un faro sulla 'Shrinkflation', quella particolare tecnica di marketing attraverso cui le aziende riducono la quantità di prodotto nelle confezioni, mantenendo i prezzi sostanzialmente invariati.

L'Autorità ha detto il direttore generale per la tutela del consumatore, Giovanni Calabrò in audizione alla Commissione d'inchiesta sulla tutela dei consumatori e degli utenti, "sta monitorando il fenomeno al fine di verificare se possa avere rilevanza ai fini dell'applicazione del Codice del Consumo, con particolare riferimento alla disciplina in materia di pratiche commerciali scorrette".

Calabrò ha quindi assicurato che "l'Autorità è ben al corrente del fenomeno" ed oltre alla crescente attenzione dedicata dalla stampa - che ha lanciato più volte l'allarme sul "restringimento" delle confezioni di prodotti soprattutto alimentari e per l'igiene della casa - precisa di aver ricevuto la segnalazione di un'associazione di consumatori su tale condotta. Il responsabile dell'Antitrust sottolinea che "ciò che rileva non è la riduzione in sé della quantità di prodotto contenuta nella confezione - decisione aziendale prima facie legittima - quanto la trasparenza di tale modifica nei confronti del consumatore. In questo senso - conclude - condotte quali la diminuzione della quantità di prodotto a parità di dimensioni della confezione, in assenza di un'adeguata avvertenza sull'etichetta frontale, potrebbero essere ritenuti meritevoli di approfondimento".

Shrinkflation, il commento di Coldiretti

"Lo shrinkflation è solo l’ultima trovata per scaricare l’aumento dei costi alimentato dalla guerra in ucraina sugli anelli deboli della filiera come consumatori e produttori - lamenta la Coldiretti nel commentare la decisione dell’Antitrust -. Con la guerra si moltiplicano speculazioni e pratiche sleali sui prodotti alimentari, che vanno dai tentativi di ridurre la qualità dei prodotti offerti sugli scaffali alle etichette ingannevoli fino al taglio dei compensi riconosciuti agli agricoltori al di sotto dei costi di produzione. Il risultato è che più di 1 azienda agricola su 10 (11%) si trova in una situazione così critica da portare alla cessazione dell’attività ma ben circa 1/3 del totale nazionale (30%) si trova comunque costretta in questo momento a lavorare in una condizione di reddito negativo".

La situazione è definita "inaccettabile" dalla Coldiretti che evidenzia, partendo dai dati Ismea, che "per ogni euro speso dai consumatori in prodotti alimentari freschi e trasformati appena 15 centesimi vanno in media agli agricoltori ma se si considerano i soli prodotti trasformati la remunerazione nelle campagne scende addirittura ad appena 6 centesimi".

 

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