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Economia
Mercati, ora passare all'incasso. Tornare a comprare col nuovo anno

È notorio che i mercati guardino e si muovano sull’anticipazione di quello che succederà nei prossimi 3-6 mesi. Quando, confrontando le notizie attuali con la reazione delle Borse, non riusciamo a trovare una logica o una corrispondenza, vuol dire che molto probabilmente stiamo dimenticando questo fatto basilare.

Diventa allora spontaneo, in questi giorni, cominciare a porsi la domanda chiave: “Che si fa adesso?”. Avevamo detto qualche settimana fa che gli elementi in grado di influenzare la direzione degli indici erano in sostanza legati alle presidenziali americane, con il relativo corollario sul nuovo piano di stimoli fiscali caldeggiato dai democratici ma inviso ai repubblicani. Il Covid non era un fattore chiave per gli investitori; o almeno ha smesso di esserlo da aprile in poi. Sono state le reazioni delle Banche centrali e dei Governi di mezzo mondo, accorse a sostenere redditi e consumi con piani di stimolo monetario e fiscale, a ridimensionare grandemente l’importanza della pandemia ai fini delle decisioni di investimento. 

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Ecco quindi che la reazione dei mercati, lunedì 9 novembre, all’annuncio dell’americana Pfizer di essere in dirittura d’arrivo per la produzione del vaccino anti Covid, mi è sembrata significativa. Uscita la notizia tutte le piazze hanno festeggiato con guadagni importanti, tra il 4% e l’8%; ma durante la giornata di contrattazioni a New York il balzo dei listini si è progressivamente e costantemente eroso, con gli indici che hanno chiuso ancora in guadagno, ma sui minimi della giornata. L’analogo annuncio di ieri da parte di Moderna ha avuto un impatto positivo, ma minore rispetto alla settimana passata. E l’S&P500 è ancora sotto ai massimi intraday di allora.

Né, pensandoci bene, poteva essere diverso: era noto da tempo che “un” vaccino (in realtà più di uno, visto che sono almeno in 6 o 7 le aziende farmaceutiche in giro per il mondo in dirittura d’arrivo) sarebbe arrivato per fine novembre, o al più tardi a inizio dicembre. È anche noto da mesi che, realisticamente, la cura sarebbe stata disponibile al vasto pubblico per la prossima primavera. Pfizer è semplicemente stata la prima ad annunciare un evento chiaramente atteso (e quindi già scontato) dagli operatori. Di qui il “fade” (in gergo tecnico l’andare ad operare contro la tendenza di brevissimo del prezzo) degli investitori, che hanno venduto il rialzo. Tra l’altro l’S&P 500 ha in giornata segnato un nuovo massimo storico, e di solito questi primati, se raggiunti dopo un rally già importante (dai minimi di 10 giorni fa Wall Street stava facendo circa il 12%), sono seguiti da una presa di beneficio.

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Allora adesso che si fa? Le elezioni si sono concluse ed oramai rimane solo Trump a pretendere di averle vinte. Un sondaggio dei giorni scorsi riporta come l’80% degli americani creda che Biden sia il vincitore. Amen. Il Congresso rimarrà più o meno come l’avevamo lasciato: Camera ai Democratici e Senato ai Repubblicani. Quindi addio sogni di grandi stimoli fiscali nell’immediato (male per le Borse, che comunque non li avevano prezzati nelle quotazioni), ma anche impossibile per i Dem far passare forti aumenti di spesa pubblica, finanziati con maggiori tasse. E questo agli investitori piace. Di qui, il rally degli ultimi dieci giorni; non importava chi vincesse, ma che ci fosse un vincitore (per togliere l’incertezza che ha frenato le quotazioni in ottobre) e che l’esito elettorale non scuotesse lo status quo. Tra l’altro l’idea di minore sostegno da parte delle politiche fiscali agli investitori non pesa più di tanto, perché vuol dire ancora più “eroina” monetaria da parte della Fed, che per stimolare l’economia compenserà la timidezza di Capitol Hill con più acquisti di titoli e ancora più QE.

Se le impostazioni di politica economica (stimoli monetari e di bilancio) sono quindi chiare, guardiamo al quadro macro: sia i dati sull’occupazione che sull’attività – a inizio mese sono stati pubblicati gli indici dei direttori d’acquisto (i famosi PMI, Purchasing Manager Index) per Usa, Cina ed Europa – mostrano una crescita ancora robusta, forse “troppo”. PMI sui massimi storici significano che nel prossimo futuro potremo attenderci una loro moderazione: resteranno sempre in territorio espansivo, certo, ma con un impulso meno brillante rispetto a quanto segnato fin qui. In parole povere: la ripresa continua, ma in modo meno impetuoso, facendo mancare quell’effetto sorpresa che spesso in passato ha dato impulso alle quotazioni.

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La vera novità degli ultimi giorni viene, invece, dal mercato obbligazionario, che ha visto una decisa risalita dei rendimenti obbligazionari per le scadenze a lungo termine. Il decennale americano è passato in poco tempo dallo 0.6% all’1% di rendimento, prima di flettere sul finire della settimana scorsa. Sono movimenti importanti che portano con sé messaggi chiari: passate le elezioni e con la maggiore visibilità sull’avvento del vaccino gli investitori stanno cominciando a scommettere con convinzione sulla crescita economica per il 2021.

La rotazione settoriale e di temi osservata in Borsa ne è la diretta conseguenza: fin qui Wall Street è stata trainata dai famosi FAANG (Facebook, Amazon, Apple, Netflix e Google), dove l’acronimo vale ormai come un sinonimo di Mega Cap Growth Stock, ovvero quei giganti legati al mondo Internet con un molto visibile sentiero di crescita davanti. Nell’incertezza degli ultimi trimestri gli investitori si sono rifugiati sempre di più in questo pugno di titoli, che sovraperformando costantemente il resto del mercato ha portato una decina di essi a valere, complessivamente, circa il 25% della sua capitalizzazione complessiva.

Se tuttavia ora si anticipa un chiaro miglioramento congiunturale, non vale più tanto la pena “nascondersi” fra quelle poche – e carissime – azioni, ma si può cominciare a cercare occasioni tra le aziende che, pur essendo solide, sono state fin qui penalizzate da prospettive cicliche deludenti. E come la tradizionale mandria di buoi, ecco allora che tutti gli investitori hanno cominciato a vendere i leaders per comprare i laggards (i ritardatari) di ieri. È la rotazione settoriale, bellezza, di solito un utile carburante per sospingere le quotazioni verso nuovi massimi: semplicemente il testimone di chi guida il mercato viene passato di mano in un’ideale staffetta che porta gli indici nel loro complesso a continuare la corsa.

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Il problema di questa rotazione settoriale, però, è che avviene in una struttura di mercato fortemente polarizzata e sbilanciata: tutti, ma proprio tutti, dovevano avere quei dieci titoli (ed idealmente solo quelli) per battere il mercato. Smontare le posizioni in tempi brevi, tutti insieme, porta necessariamente a squilibri e volatilità. Non sarà un processo breve, né facile. Inoltre bisognerà fare i conti con potenziali vuoti d’aria di breve periodo: le restrizioni in Europa per combattere la seconda ondata di Covid faranno rivedere al ribasso le stime per il quarto trimestre e la “botta” potrebbe essere pesante. Negli Usa l’unico aspetto potenzialmente negativo dell’elezione di Biden per l’economia potrebbe venire proprio dalle disposizioni per frenare la corsa dei contagi. Il “negazionista” Trump non ha certo giovato alla salute degli americani, ma ha chiaramente attutito l’impatto economico della pandemia.

Dati economici buoni, ma meno forti del recente passato, potrebbero inoltre arrestare il rialzo dei rendimenti, o quanto meno mitigarlo, rendendo meno facile ed evidente l’opportunità di modificare l’impostazione di portafoglio. Ci aspettano delle settimane di stop and go, dove a volte il Nasdaq sottoperformerà il mercato, ed altre in cui tornerà il favore degli investitori per i FAANG. Insomma; un po’ di confusione. E confusione vuol dire volatilità.

Chi mi segue da un po’ sa che ho mantenuto un atteggiamento ottimista per gli attivi di rischio da inizio aprile in poi. La mia previsione che gli indici avrebbero potuto finire in positivo a fine anno sembra corretta, almeno a guardare alcuni tra i listini principali: alla fine della settimana, gli Usa sono ampiamente in guadagno (S&P 500 +11%, Nasdaq +36%). In Europa Germania, Olanda e Svizzera sono sulla parità. In Giappone il Nikkei fa +9% (Topix +0.5%), mentre in Cina il Csi 300 fa quasi +20%.

Forse è arrivato il momento di alzarsi dal tavolo, monetizzando i guadagni in attesa di altre opportunità: a mio avviso almeno il 95% del movimento dai minimi di marzo è ormai alle spalle. Certo, gli indici europei potrebbero avere ancora un 5% di guadagno davanti, ma è incerto: la forza dell’Euro potrebbe giocare contro. Negli Usa il massimo dell’S&P 500 di lunedì scorso (3.668) potrebbe benissimo essere il massimo dell’anno, o al più venire marginalmente migliorato.

A fine novembre i fondi d’investimento pagano le tasse sui guadagni realizzati, e normalmente prima di quel giorno chiudono le posizioni in perdita per realizzare perdite da utilizzare per compensare i guadagni riducendo così il peso dell’imposizione fiscale. I gestori attivi hanno decisamente aumentato l’esposizione al rischio, mentre le gestioni quantitative sono ancora relativamente sottopesate di azionario per via della volatilità degli indici, ancora sopra il 20%. Difficile trovare acquirenti marginali pronti a rischiare capitale da qui a fine anno. O almeno così mi sembra.

Per questi motivi sono propenso a ridurre il peso del rischio in portafoglio, soprattutto con l’orizzonte di un mese o poco più. Attenzione però: questa è una scelta puramente tattica, e anzi mi attenderei una partenza del 2021 nuovamente positiva. Dalla seconda metà di dicembre in poi gli investitori avranno maggiore visibilità sulla tempistica di distribuzione dei vaccini. Fed e BCE avranno comunicato le nuove misure a sostegno della ripresa. I dati macro ci avranno dato una prima indicazione di massima sull’impatto che la seconda ondata Covid avrà avuto sulla crescita nel quarto trimestre e sarà ormai nei prezzi anche l’incertezza sui consumi di natale. Per dicembre anche Trump avrà metabolizzato la sconfitta, togliendo questo elemento di (possibile?) volatilità. A fine anno, per me, si potrebbe ricomprare rischio, per scommettere su una forte ripresa ciclica nel 2021.

E se per caso avesse avuto ragione Trump? Se i (supposti) brogli elettorali venissero provati? O se la Corte Suprema gli desse ragione? Irrealistico, ma facciamo comunque un’ipotesi di lavoro: sul possibile storno, anche violento, legato all’annuncio (timori di crisi politica ed istituzionale, fino all’ipotesi di una irrealistica “seconda guerra civile americana”) sarei compratore a mani basse ed occhi chiusi. La Fed interverrebbe pesantemente per normalizzare i mercati, e ben presto gli investitori si accorgerebbero di avere di nuovo un presidente abituato ad equiparare il suo indice di gradimento con il livello del S&P 500 (e quindi portato a sostenerne i rialzi a suon di tweet e dichiarazioni). Il tutto con un Senato repubblicano che obbedirebbe ad occhi chiusi agli ordini di nuova spesa in deficit del suo presidente; e difficilmente i democratici potrebbero opporsi, davanti all’agognato piano di nuovi stimoli per ulteriori 2 miliardi di dollari. Ma tutto questo è fantapolitica, quando non fantascienza. 

*Strategy advisor di Swan Asset Management

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