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Sindrome NIMBY e transizione ecologica: come può superarla l’Italia?

Cingolani, gli obiettivi del PNIEC: 70% di energia prodotta da fonti rinnovabili entro il 2030 grazie ad un nuovo approccio culturale

Lo sviluppo sostenibile non è solo un obiettivo, ma un percorso che richiede l’impegno della collettività per essere efficace.  E da portare avanti con continuità. Purtroppo, però, il timore, o perfino l’opposizione al nuovo, al cambiamento, rischiano di diventare delle barriere insormontabili da superare. Si sente spesso parlare del fenomeno Nimby (“Not in my back yard”, espressione inglese traducibile come “non nel retro del mio cortile”). Si tratta dell’opposizione alla creazione di opere pubbliche da parte di comunità locali su uno specifico territorio. Le proteste nascono per tante ragioni: si temono specialmente effetti sulla qualità della vita, sull’ambiente, sulla salute. Quante volte però la paura blocca l’azione?

In Italia, l'Osservazione Nimby Forum offre una panoramica sui lavori contestati. Il 57% dei progetti critici interessa il comparto energetico (in particolare la ricerca e l’estrazione degli idrocarburi). Emerge però soprattutto un dato: tra gli impianti di produzione di energia elettrica contrastati, il 73% utilizza fonti rinnovabili. Eppure, nel PNIEC, l’obiettivo al 2030 è di raggiungere una quota di energia prodotta da FER (fonti energetiche rinnovabili) nei Consumi Finali Lordi di energia pari al 30%, così come una riduzione del 43% dei consumi di energia primaria rispetto al 2007 (Scenario PRIMES). Secondo il Ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, gli obiettivi del PNIEC andrebbero persino rivisti al rialzo, con una quota del 70% di energia prodotta da fonti rinnovabili entro il 2030. E, nel PNRR, ci sono quasi 60 miliardi di euro dedicati alla green economy.

Come può avvenire tutto questo? Soltanto con un nuovo approccio culturale. Altrimenti si resta in una fase di stagnazione. Non si desiderano i combustili fossili, ma allo stesso tempo non si vuole promuovere lo sviluppo delle fonti rinnovabili. C’è bisogno di maggiore collaborazione tra cittadini, amministrazioni e imprese. Pensando alla mobilità elettrica è necessario continuare a installare punti di ricarica, ma soprattutto si deve effettuare la loro attivazione in tempi brevi, snellendo la burocrazia. Serve agli automobilisti elettrici e a tutto il Paese per mantenere la propria attrattività.

Basti pensare a un settore strategico come il turismo, in grado di produrre un giro d’affari da 93 miliardi di euro (fonte Istat). Storicamente, i tedeschi rappresentano la fetta più grande di visitatori in Italia. Tra questi figura Herbert Diess, CEO del gruppo Volkswagen fortemente impegnato nella transizione verso l’elettrico che, l’anno scorso, a bordo di una ID.3, ha esplorato le bellezze di casa nostra. Il governo federale della Germania vuole che, entro la fine di questo decennio, vengano immatricolati nel Paese da 7 a 10 milioni di veicoli elettrici. Anche gli olandesi stanno abbracciando l’elettrificazione. Nel 2020, il 21% delle nuove autovetture registrate nei Paesi Bassi era con motorizzazione elettrica. Non possiamo permetterci di avere poche infrastrutture di ricarica e non funzionanti. Perché questo significa privarci di un futuro fatto di grandi opportunità.  Dipende soltanto da noi.

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