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Economia
Ora il Leone guarda agli States. Perché Donnet vuole fare l'americano

Mentre anche in Europa nelle ultime settime mercati azionari si sono ormai ripresi dopo le perdite causate dallo shock primaverile causato dalla pandemia di Covid-19, coi d’investimento strutturali di lungo periodo, dalla digitalizzazione all’intelligenza artificiale piuttosto che alla sostenibilità che paiono usciti addirittura rafforzati dalla crisi del coronavirus e segnali sempre più evidenti di una “grande rotazione” a favore dei titoli ciclici che starebbe per partire, come nota Laurent Denize (Global Co-Cio di Oddo BHF Asset Management), l’appetito dei maggiori gruppi finanziari italiani nei confronti di gestori e boutique d’investimento estere non accenna a diminuire.

Generali, ad esempio, avrebbe approcciato di recente il gestore bostoniano Brightsphere Investment Group, quotato dal 1987 a Wall Street e forte di patrimoni sotto gestione per circa 162 miliardi di dollari a fine marzo. Non si tratta di un nome qualsiasi: fondata nel 1980 dall’ex Ceo di Putnam Investments, Norton Reamer, col nome di United Asset Management, la società si distinse sin dagli anni Ottanta del secolo scorso per essere stata tra le prime ad adottare un approccio “multi boutique”.

In sostanza Reamer e il suo team contattavano boutique finanziarie e team di gestori specializzati in singoli mercati o tipologie d’investimento e ne rilevavano il controllo, evitando così di dover far crescere, più lentamente e a costi e impegni di capitale superiori, una struttura totalmente interna. Non solo: Reamer e i suoi consentivano a ciascuna società di cui acquisivano il controllo di operare in modo autonomo, mantenendo la propria specializzazione, senza chiudere le società che registravano le prestazioni peggiori anno per anno (così da mantenere un portafoglio diversificato di stili di gestione).

Alla fine, oltre la metà delle attività sotto gestione facevano capo a fondi pensione, un dettaglio di non poco conto per un gruppo assicurativo, visto la “vicinanza” dei business previdenziale/assicurativo e di asset management e infatti già nel 2000 Old Mutual rilevò United Asset Management per 1,46 miliardi di dollari in contanti oltre a 769 milioni di indebitamento netto. La società venne ridenominata Old Mutual Asset Management US, poi nel 2018 le strade di Old Mutual e del gestore di Boston si separarono nuovamente e venne assunta l’attuale denominazione.

Nell’attuale board siede in qualità di presidente l’investitore miliardario John Paulson, che poco dopo la separazione di Brightsphere da Old Mutual ne rilevò circa il 24% (che detiene tuttora). Altri azionisti importanti sono ugualmente gestori e fondi d’investimento americani come BlackRock (5,7% circa), The Vanguard Group, Mangrove Associates (entrambi attorno al 5,3%) e Jennison Associates (poco meno del 4,9%). Il che per un gruppo che crede nel concetto di multi boutique suona come una conferma della bontà dei risultati ottenuti e dei rapporti commerciali che si sono saputi tessere in questi anni.

A Trieste, d’altra parte, non è un mistero che la strategia multi boutique piaccia e non poco. Il Ceo di Generali Investments Partners, Carlo Trabattoni, l’ha ribadito più volte, così come il group Ceo di Generali, Philippe Donnet, che al Generali Investment Day del novembre scorso pose accanto all’obiettivo di rafforzare la leadership in Europa e focalizzarsi sui mercati assicurativi più profittevoli proprio lo sviluppo di una piattaforma globale di asset management in grado di portare ad un incremento degli utili nel quadriennio 2018-2021 ad un ritmo del 15%-20% annuo composto.

Per ottenere tale risultato Donnet aveva indicato di voler continuare “a espandere la piattaforma di prodotti multi boutique” e “accelerare l’espansione con acquisizioni disciplinate” piuttosto che effettuare onerosi investimenti per cercare di crescere organicamente. Per cercare di individuare le prede più appetibili lo scorso settembre Daniel Charles Roy è stato nominato Head of business development and M&A della business unit Generali Group Investments, Asset & Wealth Management, con riporto diretto al Chief investment officer e Ceo di Group Asset & Wealth Management, Timothy Ryan. Saranno loro a dover valutare se Brightsphere e le boutique da lei controllate come Arcadian (79 miliardi di dollari di masse gestite), Landmark Partners e Cambell Global (27 miliardi) e Copper Rock, Tsw, Icm (59 miliardi) possano essere la “testa di ponte” del Leone di Trieste per il ricco mercato americano dell’asset management.

Vista la riconosciuta competenza nel campo della gestione quantitativa, delle strategie alternative e delle strategie “liquid alpha” e visto che il gruppo Brightsphere serve clienti (in particolare 850 istituzionali, un tipo di clientela che potrebbe piacere a Generali per fare ulteriormente leva sulla propria capacità di gestione per conto terzi) agli Usa all’America Latina, dal Medio Oriente all’Asia, essendo presente in una trentina di paesi al mondo, molto dipenderà dal prezzo.

Al momento Brightsphere presenta un indebitamento  netto di circa 400 milioni a fronte di un patrimonio netto di circa 200 milioni, con una capitalizzazione di borsa di circa 1 miliardo di dollari, l’acquisizione appare alla portata di Generali e potrebbe valere attorno o poco più di un miliardo di euro, consentendo al gruppo italiano di crescere di “stazza” e di competenze, in un momento in cui i mercati potrebbero essere sul punto di lasciarsi alle spalle almeno il momento di maggiore incertezza, cosa solitamente favorevole alla raccolta di nuovi flussi di sottoscrizioni sia dal retail sia dagli istituzionali.

 

 

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