Economia
Pensioni ed orario di lavoro: arriva un altro tsunami?
di Piero Righetti
Fino ad alcuni anni fa il diritto ad ottenere la pensione e il pagamento del trattamento di fine rapporto era certo, sia nella decorrenza, sia nell'importo. E certa è, almeno per ora, la durata - giornaliera, settimanale e mensile - dell'orario di lavoro, come anche l'ammontare della retribuzione.
Ma secondo quanto dichiarato recentemente dal Ministro del Lavoro, è possibile che anche quest'ultima certezza possa venir meno.
Vediamo dunque di ricostruire, sia pure per grandi linee, questi spaventosi tsunami che periodicamente si abbattono sui nostri diritti e sul mondo del lavoro nel suo complesso.
Il pagamento del T.F.R. - che, secondo quanto affermato dalla stessa Magistratura non è altro che vera e propria "retribuzione" - fino ad alcuni anni fa avveniva entro 30/60 giorni dalla cessazione dell'attività lavorativa e tutti coloro che andavano in pensione potevano programmarne con tranquillità l'utilizzo, per l'acquisto di un appartamento per sé o per i propri figli o per l'estinzione di un mutuo già stipulato. Ora non è più così, soprattutto nel settore pubblico. Un apposito provvedimento ne ha infatti dilazionato il pagamento in più rate e in più anni.
Ma le modifiche maggiori sono avvenute nel campo delle pensioni: la Riforma Fornero ha sconvolto, dall'oggi al domani, la vita di centinaia di migliaia di persone ormai vicine alla pensione e che, improvvisamente, hanno visto allontanarsi anche di 7/8 anni la possibilità di ottenerla. Attenzione: l'abolizione di fatto della pensione di anzianità e l'aumento improvviso dell'età pensionabile non hanno colpito solo persone di 40/50 anni, ma anche e soprattutto persone quasi sessantenni o che comunque lavoravano ormai da più di 30/35 anni. E le norme di questa riforma, oltre tutto, sono subito sembrate di difficilissima interpretazione ed applicazione, al punto che si può ormai parlare di "pensioni ad personam" e cioè di requisiti che variano da un lavoratore all'altro e da un anno all'altro.
Ma sembra che ancora non basti. Il Presidente dell'Inps, Tito Boeri, ha detto che, a suo avviso, il Governo ha profondamente sbagliato a non mettere nella legge di stabilità 2016 una nuova riforma generale delle pensioni.
Ma da dove viene questa vera mania di "riforme annuali"?
Proprio alcuni giorni fa Boeri ha infatti proposto di ridurre tutte le pensioni troppo elevate, a cominciare da quelle già in pagamento anche da anni e di rivedere molte prestazioni assistenziali, come le pensioni sociali, gli assegni sociali e le integrazioni al minimo che, a suo avviso, verrebbero corrisposte anche a tante persone che non ne avrebbero diritto.
Sempre secondo Boeri, quella da lui proposta sarebbe "l'ultima riforma delle pensioni". Ma - a parte il fatto che è come minimo imprudente ed assurdo parlare di una "ultima" riforma, quasi fosse davvero in grado di prevedere con certezza gli sviluppi futuri della nostra economia e quindi del Bilancio dello Stato - perché l'Istituto da lui presieduto non accerta concretamente se tutte queste "indebite prestazioni assistenziali" ci sono veramente e in tal caso non le sospende?
Comunque all'orizzonte lavorativo si sta forse profilando un altro tsunami. Il Ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, in un recente convegno alla Luiss, ha affermato che l'orario di lavoro è ormai "un attrezzo vecchio" e che le retribuzioni dovrebbero essere calcolate tenendo conto più dei risultati che raggiunge ciascun lavoratore che non del numero delle ore che si trascorrono in fabbrica o in ufficio.
A parte l'impossibilità di determinare concretamente questi risultati nel pubblico impiego (le retribuzioni verrebbero calcolate a numero di pratiche definite o di sentenze emesse, comprese quelle sbagliate?), c'è il fatto che anche nel settore privato è veramente difficile stabilire questi "apporti singoli".
Prendiamo una cassiera: dovrebbe essere pagata in proporzione non alle ore passate dietro la cassa ma al numero degli scontrini battuti? E se nell'intera giornata non entrano i clienti? Questo sì che sarebbe un grosso risparmio per tutti gli imprenditori!
E proprio ieri il Presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, ha dichiarato, in un convegno intitolato Viaggio nell'Italia che innova, che "restare ancorati a schemi medievali o ottocenteschi non porta da nessuna parte... Io personalmente non vedo nessun legame diretto tra ore lavorate e retribuzione". Più o meno i concetti già espressi dal Ministro del Lavoro.
Ma perché non parlare, più concretamente, di una maggiore flessibilità dell'orario e dell'organizzazione di lavoro anziché di "isole di lavoro" o di "kit di lavoro" come quelli della Ducati, difficilmente ipotizzabili per la generalità delle aziende italiane, a stragrande maggioranza di piccole o piccolissime dimensioni?
La realtà è che tante di queste persone, compresi molti sottosegretari, forse non si rendono sufficientemente conto che una cosa è parlare da una cattedra o sostenere in un libro o in un convegno belle "ipotesi di scuola", e un'altra parlare quando si è Presidenti o Ministri di qualcosa e quindi in una veste che è difficile non considerare autorevole, importante e decisionale.
Chi scrive ha lavorato per più di 40 anni all'Inps e con incarichi anche di rilievo. Ed è anche per questo che so che quando parla un Presidente dell'Inps o un Ministro del Lavoro, le loro parole possono facilmente sembrare "pericolose" ed "allarmanti" a tante e tante persone.
"Ma se è l'Inps che dice che bisogna abbassare le pensioni, allora è proprio necessario e si farà", dicono o pensano immediatamente tante e tante persone guardando distrattamente il telegiornale o leggendo i titoli di un articolo.
Forse è ora di dire veramente basta a tutte queste dichiarazioni, a volte anche in contrasto tra loro. Basta a tutte queste proposte "fatte ad un convegno e quindi destinate a persone qualificate ed in grado di capire quello che si dice e di rendersi conto che si tratta di semplici ipotesi o spunti di riflessione". Ma a questi convegni sono presenti, direttamente o indirettamente, tutti i giornalisti e tanti politici. Persone cioè che hanno un assoluto interesse a rendere più pesanti e più allarmanti queste dichiarazioni, o per vendere più copie di un giornale o per prendere qualche voto in più!
E' così difficile rendersi conto di questa realtà, che non è solo italiana, ma di tutto il mondo di oggi? Ma in questi momenti di crisi economica e un po' di tutti i valori, in un mondo del lavoro come quello italiano in cui più di 1 giovane su 2 è ancora senza occupazione e senza prospettive e in cui è assolutamente necessario cercare di favorire o di ricomporre tranquillità e certezze, è mai possibile che a certi livelli non ci si renda conto di tutto ciò?
Un po' di tempo fa ho letto, su un importante quotidiano, una lettera, pubblicata vicino ad una proposta di riforma delle pensioni, di un giovane (non più tanto giovane in realtà), disoccupato da sempre e pieno di diplomi più o meno inutili, che finiva con queste parole "i politici e quelli che governano e che comandano mi hanno tolto anche la speranza...".
Ecco, cerchiamo di riflettere su queste parole, tutti, ognuno al proprio livello di responsabilità.
Secondo quanto è possibile capire da precisazioni ed interventi di questi ultimi giorni, ritengo che le dichiarazioni fatte da Poletti al Convegno Luiss sul Jobs act non siano da considerare del tutto estemporanee, ma siano piuttosto collegabili, anche se indirettamente, alle trattative, certamente non bene avviate, tra associazioni datoriali e associazioni sindacali sulla riforma dei contratti di lavoro. Ad avviso del Governo infatti, ferma restando per le parti sociali la possibilità di trovare un accordo su questo argomento, sarebbe auspicabile aumentare la rilevanza della contrattazione aziendale e ridurre quella nazionale. Lo stesso Ministro, in un'intervista al Sole 24 ore, alla domanda "c'è una scadenza per voi?" sui tempi riservati alle parti sociali per trovare questo accordo, ha risposto "abbiamo sempre detto che i tempi non sono infiniti ma non abbiamo definito un tempo. Sollecitiamo un accordo in tempi ragionevoli".
Dunque, se non ci sarà questo accordo entro breve tempo (accordo al momento abbastanza difficile), c'è il rischio di un ennesimo provvedimento di legge, forse addirittura di un decreto legge.
