Iraq/ L'avanzata jihadista fa schizzare il prezzo del petrolio. Rischio rally
Certo, le borse, come quella di Tokyo dove il Nikkei questa mattina che ha chiuso postitivo grazie proprio alle buone performance dei titoli petroliferi, ringraziano. Ma lo scontro tra sciiti e sunniti in Iraq e lo spettro di una guerra civile fanno salire il petrolio ai massimi da un anno, sopra i 106 dollari al barile.
La provincia di Kirkuk è da un secolo al centro di una disputa tra arabi, curdi e turcomanni. La Gerusalemme irachena, posta appena al di fuori dalla regione autonoma del Kurdistan, nel nord, possiede il 20% delle riserve petrolifere del Paese. Kirkuk é una città multietnica con oltre un milione di abitanti, arabi sciiti e sunniti, curdi, turcomanni, assiri caldei e cristiani. Durante il regime di Saddam Hussein, la popolazione curda di Kirkuk fu deportata e rimpiazzata con coloni del sud. Per decenni, Saddam tentò di cancellare ogni traccia della cultura curda: vietò la lingua e offrì agli arabi incentivi per trasferirsi a nord e occupare la città. Dopo la caduta del regime, migliaia di curdi tornarono a Kirkuk. Da allora l'obiettivo è inglobare la città nel Kurdistan iracheno.
L'Iraq è un Paese cruciale per l'andamento del mercato globale dell'oro nero. Il paese posside circa un quinto delle riserve mondiali di petrolio ed esporta circa 2,5 milioni di barili al giorno, quasi il 3% della domanda globale. Mosul non lontana dal più grande giacimento di petrolio di Kirkuk e dall'oleodotto che collega la zona a Ceyhan in Turchia, sulla costa mediterranea. Linea strategica che è stata per settimane il bersaglio di attacchi e sabotaggi. Secondo le banche d'affari, l'interruzione della produzione irachena potrebbe spingere il barile a 130 dollari.