Ma quale deficit/Pil, focus sulla scuola. Wef e Harvard: solo così si salva l'economia
Mario Draghi lo va ripetendo ormai ad ogni evento al quale venga invitato, si tratti delle riunione annuale dei banchieri centrali del mondo a Jackson Hole o della cena di gala organizzata a Milano da Eurofi la sera prima del meeting dello stesso presidente della Bce con i ministri delle finanze dell’Eurozona: per far ripartire l’economia del vecchio continente sono necessario sia investimenti sia riforme. Per i commentatori più distratti può sembrare il via libera alla “flessibilità” invocata da Matteo Renzi, ma le cose non stanno proprio così perché quando si tratta di scendere nel dettaglio e indicare quali siano gli investimenti da compiere prioritariamente, chi deve metterci i soldi, dove reperire le risorse e quali riforme vadano varate le cose si complicano.
Non tutti gli investimenti e non tutte le riforme producono infatti gli stessi effetti, come ben sanno gli americani che certo quanto a “flessibilità” e investimenti non sono secondi a nessuno, ma che negli anni seguenti la “grande recessione” del 2008-2009 hanno scoperto sulla propria pelle come non necessariamente il recupero dei margini di competitività e redditività da parte delle aziende, che anche secondo la “ricetta tedesca” fin qui pedissequamente seguita in tutta Europa sono la premessa per vedere un rilancio degli investimenti privati in un mondo che vedrà sempre meno investimenti pubblici (o quanto meno sempre più “condizionati” al rispetto di alcune regole e parametri, siano quelli sul deficit/Pil e sul debito/Pil o altri ancora da concordare), significa anche migliori prospettive e maggiori redditi reali per la classe media e la classe operaia.
Se ne sono accorti da tempo anche all’università di Harvard, dove il “vecchio” (classe 1947) Michael Porter, docente presso la Harvard Business School dove dirige l’Istituto per la Strategia e Competitività, nell’analizzare i dati emersi dal terzo sondaggio annuale compiuto presso un campione di oltre 300 ex alumni dell’ateneo americano impiegati in grandi, medie e piccole imprese a stelle e strisce, ha notato come mentre le imprese di grandi e medie dimensioni sono riuscite a recuperare fortemente terreno e i lavoratori con mansioni altamente qualificate stiano godendo una fase di grande prosperità, operai e cittadini della classe media sono tuttora in difficoltà, come pure restano in crisi le piccole imprese. Insomma, se non si interverrà il rischio di una crescente diseguaglianza sociale ed economica, con un pugno di “happy few” sempre più benestanti e masse di nuovi poveri che vivono poco oltre il livello di sussistenza, è concreto.