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Economia
Tim, Gubitosi accelera sulla rete. Ma lo spin off è ancora lontano
LaPresse


Telecom Italia di nuovo in rosso a Piazza Affari, col titolo che perde due punti percentuali rimangiandosi parte del recupero messo a segno nell’ultima settimana di borsa, complice anche la preoccupazione espressa da Moody’s dopo la nomina di Luigi Gubitosi quale nuovo Ceo del gruppo. “L’ennesimo cambio di timone di Tim, il terzo dal 2016 a oggi” chiosa l’agenzia di rating in una nota sottolineando come ciò faccia “sorgere interrogativi sulla continuità del top management, sulla corporate governance di gruppo e sull’effettiva capacità di riuscire a eseguire le linee indicate nel Piano strategico”.

Moody’s, che pure ha confermato il rating “Ba1” sul debito di Tim con outlook “stabile”, si dice preoccupata per le continue frizioni emerse nel board tra i 5 consiglieri che fanno capo al primo socio Vivendi (23,94%) e i 10 amministratori indipendenti indicati dal fondo Elliott (8,85%), che grazie anche all’assist di Cdp (4,26%) e dei fondi lo scorso maggio è riuscito a battere il gruppo francese in assemblea in occasione del rinnovo del Cda. Un risultato che il gruppo che fa capo a Vincent Bolloré non ha mai digerito, tanto che starebbe valutando di impugnare la decisione del consiglio di revocare le deleghe all’ex amministratore delegato Amos Genish e la nomina di alcuni consiglieri di Elliott. D’altra parte, ricorda ancora Moody’s, “la separazione della rete sarà un lungo processo con elevati rischi di esecuzione”.

Una previsione fin troppo facile, visto che anche tra i fondi (che nel complesso detengono oltre il 55% del capitale) sembrano crescere le divisioni e i distinguo sulla base di una differente visione strategica tra chi come BlackRock (ufficialmente all’1,5% del capitale ma secondo alcune fonti salita vicino al 5%, quota analoga a quella detenuta in Vivendi) tende ad investire sulla base delle prospettive industriali a medio-lungo termine e dunque potrebbe appoggiare un nuovo “ribaltone” che riporti in sella Vivendi e Genish, e chi come lo stesso Elliott punta, attraverso la cessione della rete, a far emergere più rapidamente il valore per gli azionisti.

Ipotesi, questa, che però fa nascere più di un timore anche ai sindacati (che temono che lo scorporo e cessione della rete fissa porti a oltre 25 mila tra ricollocamenti ed esuberi a fronte dei circa 49.500 dipendenti attuali) e ai piccoli azionisti, che da anni assistono al progressivo calo delle quotazioni, passate dai 3,15 euro di inizio 2005 ai poco più di 53 centesimi attuali. Proprio l’Associazione Asati (Associazione azionisti Telecom Italia) ha intanto chiesto al vicepremier con delega alle tlc Luigi Di Maio che “dopo la creazione di una nuova società, Netco, nella quale far confluire l’intera rete di accesso di Tim” di fare in modo che Tim stessa ne mantenga il controllo, avviando in parallelo “un tavolo di lavoro a cui partecipino primariamente Enel, Open Fiber e Cdp e che miri a pervenire a una rete di accesso unica nel paese”.

“Si verificherebbe, altrimenti, uno spreco di ingenti risorse del paese e al tempo stesso non si ottimizzerebbero le possibilità che possono essere ottenute dalla rete oggi gestita da Tim con soluzione miste di rame e fibra con la quale si è coperto l’80% delle famiglie Italiane e che costituisce un bene prezioso del paese da non dissipare con decisioni improvvide o affrettate” concluse l’Associazione Asati.

Da parte sua Gubitosi, che dovrebbe a breve avere un incontro con esponenti del governo italiano, sembra invece sperare che una decisione giunga rapidamente, dopo che il relatore del M5s al decreto fiscale, Emanuele Fenu, ha depositato un emendamento concordato a livello di governo per incentivare la creazione di una società unica con le reti fisse di Telecom e Open Fiber nonostante sul tema (non presente nel “contratto di governo”) si mantenga prudente l’altro vicepremier, Matteo Salvini, che ad una domanda dei giornalisti ha risposto: “sto studiando il fascicolo fondamentale per lo sviluppo e la sicurezza del paese che riguarda anche le infrastrutture dati, che sono una ricchezza del futuro. Prima di dare questa risposta preferisco aspettare”.

Del resto, notano quasi tutti gli analisti, per prendere una decisione ponderata è necessario capire quali saranno gli asset conferiti (solo la rete in rame e fibra, anche quella wi-fi, con o senza la rete di trasmissione dati di Sparkle) e quale sarà la valutazione effettiva degli stessi, visto che sul tema si sono sentite cifre tra gli 8 e i 15 miliardi (col fondo Elliott, dato in uscita nei prossimi mesi dall’azionariato, che punterebbe ad ottenere il valore massimo per usare poi il ricavato solo in parte per abbattere il debito e riuscire a staccare un extra-dividendo da girare agli azionisti per la parte restante). Cifre che però in gran parte dipendono dalla futura remunerazione della rete,

Dall’altra parte del tavolo, Franceso Starace, numero uno di Enel (socio al 50% con Cdp in Open Fiber) preferisce a sua volta stare alla finestra e precisa che OF “è una società che sta andando bene, si è assicurata 3,8 miliardi di financing, siamo contenti dell’investimento e le performance sono in linea con le attese e in alcuni casi le superano”, per cui Enel non uscirà mai dal capitale. “L’obiettivo è di cablare l’Italia a costi competitivi e in tempi brevi e non usciremo mai da Open Fiber” ha spiegato il manager, insistendo più volte che la società “sta facendo bene il suo mestiere, sta cablando, ha i soldi, ha attratto finanziamenti, funziona e sta mettendo giù un’infrastruttura che è quanto di meglio ci sia oggi in Europa”.

“A noi interessa l’industria, non siamo contrari e neanche a favore” a fondere la rete di OF con quella di Tim, “ma non sappiamo di che cosa si sta parlando. Si lasci il tempo a Telecom di mettere ordine alla propria strategia e poi si guardi alla creazione di valore per tutti”. Nel frattempo, ha confermato Starace, Open Fiber tratta con Fastweb (il cui amministratore delegato, Alberto Calcagno, ribadisce come avere competizione infrastrutturale intensa “può essere solo di grandissimo beneficio” per il paese) per concederle accesso alla sua rete. Per non lasciare dubbi di sorta,  Alberto De Paoli, Cfo di OF, ha infine ricordato come per Open Fiber “stand alone” Enel si sia posto l’obiettivo di un Ebitda di circa 350 milioni di euro a fine piano (al 2021), a fronte di una copertura di 19 milioni di abitazioni con la rete in fibra ottica entro il 2023.

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